Il Fatto
Un lavoratore impugnava il licenziamento disciplinare intimato per aver postato su un gruppo WhatsApp alcuni commenti denigratori nei confronti di un dirigente aziendale.
Il Tribunale e la Corte d’Appello accoglievano la domanda rilevando che i messaggi in questione erano stati inviati ad un gruppo limitato di persone e fosse quindi da considerarsi quale comunicazione privata tutelata dall’art. 15 Cost. e che le espressioni adoperate non erano destinate ad essere divulgate, considerato altresì il mezzo utilizzato.
Il datore di lavoro ricorreva per cassazione.
Il Diritto
La corte osserva che in tema di licenziamento disciplinare, i messaggi scambiati in una chat privata, seppure contenenti commenti offensivi nei confronti della società datrice di lavoro, non costituiscono giusta causa di recesso poiché, essendo diretti unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo e non ad una moltitudine indistinta di persone, vanno considerati come la corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, e sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito riservato, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie ma si impone l'esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse.
La corte pertanto rigetta il ricorso.
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