L’A.F. contesta l’affermazione secondo cui negli appalti cd. labour intensive sia sufficiente verificare l'assenza di eterodirezione dei lavoratori, senza che abbia rilevanza anche l'organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e l'assunzione, da parte dell'appaltatore del rischio d’impresa.
Ai fini della valutazione della deduzione di componenti negativi di reddito ex art. 5, comma 3, del D.Lgs. 446/1997, e dell'esclusione dalla base imponibile ex art. 26-bis della legge n. 196/1997 e detrazione dell'IVA, la distinzione tra appalto genuino ex art. 1655 c.c. e illecita somministrazione di manodopera si individua nella concorrenza dei requisiti di assunzione del rischio d’impresa e di direzione e organizzazione di mezzi e materiali necessari da parte dell'appaltatore, tenendo presente che l'organizzazione può essere minima negli appalti cd. leggeri, a prevalenza di apporto personale di unità specializzate, mentre negli appalti cd. "labour intensive" il requisito si sostanzia soprattutto nell'esercizio del potere direttivo dei mezzi e materiali.
Affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. labour intensive), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso un’effettiva e autonoma organizzazione del lavoro. Ciò che conta è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione del rischio d'impresa (Cass. Sez. 6-L, 25 giugno 2020, n. 12551; Sez. L, 10 giugno 2019, n. 15557).
Nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l'appaltatrice, in ultima analisi è nullo, con conseguente impossibilità di detrarre l'IVA da parte della società. Ciò rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997 (Cass. Sez. 5, 26 giugno 2020, n. 12807).
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