L’Agenzia ritiene che la Corte non possa statuire sull’applicazione dell’esimente della disapplicazione delle sanzioni, in assenza di specifica domanda formulata dal contribuente.
Il potere di disapplicazione delle sanzioni per violazioni di norme tributarie è esercitabile d’ufficio dal giudice tributario, qualora accerti che le stesse sono state commesse in presenza e in connessione con una situazione di oggettiva incertezza nell'interpretazione normativa e non postula una domanda di parte, la quale, se avanzata, ha natura di mera sollecitazione.
La declaratoria di non applicabilità delle sanzioni non penali per inosservanze spiegabili sulla scorta di obiettive incertezze normative conferisce direttamente al giudice tributario il relativo potere, senza esigere una domanda di parte. Tale potere, assegnato alle Corti tributarie senza delimitazioni riferibili al grado e allo stato del processo, è esercitabile anche nel giudizio di rinvio, sempre che nella relativa fase processuale sia pertinente la relativa problematica e non sussistano preclusioni (Cass., 11 marzo 1995, n. 2820).
Il potere in questione è, peraltro, discrezionale per quanto attiene alla valutazione delle condizioni obiettive di incertezza normativa e, pertanto, il suo esercizio (o mancato esercizio) non è sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., 27 marzo 2006, n. 6943).
L'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione da responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, l'oggetto e i destinatari della norma tributaria, cioè l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso interpretazione normativa, riferibile non a un generico contribuente o ai contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all'Ufficio, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all'esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito (Cass. 28 novembre 2007, n. 24670).
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