Il regime impositivo delle plusvalenze realizzate da soggetti non residenti
L’art. 151 del TUIR prevede che i soggetti fiscalmente non residenti in Italia sono tassati nel nostro Paese per i soli redditi qui prodotti (c.d. principio di territorialità).
In base all’art. 23, comma 1, lett. f) del TUIR, richiamato dall’art. 151, si considerano prodotti nel territorio dello Stato “le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti […].”.
In sostanza, la plusvalenza realizzata da una società estera in occasione della cessione di una partecipazione in una società domestica, deve essere assoggettata a tassazione in Italia.
La norma prevede due casi di esclusione relativi alle plusvalenze di cui alla lett. c-bis), art. 67, comma 1, (partecipazioni non qualificate), derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute (art. 23, comma 1, lett. f, n. 1) e le plusvalenze da cessione di partecipazioni non qualificate realizzate da soggetti residenti all’estero, di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, ossia residenti in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 461/1997).
Si tratta, in sostanza, del caso tutt’altro che marginale del socio residente in un Paese incluso nel D.M. 4 settembre 1996 che realizza una plusvalenza da cessione di partecipazione qualificata in una società italiana.
Va inoltre ricordato che, secondo l’art. 151, il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è determinato secondo le disposizioni del Titolo I, relative alle categorie nelle quali rientrano.
Ciò comporta che le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni conseguite da società estere devono ritenersi ricomprese nella categoria dei redditi diversi.
La tassazione dei suddetti redditi avviene in sede di dichiarazione dei redditi (modello Redditi società di capitali ed enti commerciali), mediante la compilazione del quadro RT, con applicazione dell’imposta sostitutiva, allo stato attuale, fissata nella misura del 26%.
Ovviamente, non trova applicazione al caso di specie l’art. 87, D.P.R. n. 917/1986, che prevede un regime di esenzione (c.d. PEX) sul 95% della plusvalenza, norma dedicata al reddito di impresa.
Le origini del problema
La sentenza della Corte di Cassazione 25 settembre 2023, n. 27267 ha stabilito che, in virtù del principio della libertà di stabilimento e del divieto delle restrizioni ai movimenti dei capitali (artt. 49 e 63 del TFUE), le plusvalenze realizzate in Italia da una società fiscalmente residente in Francia e priva di stabile organizzazione nel nostro Paese devono essere assoggettate al medesimo regime fiscale delle plusvalenze realizzate dalle società italiane. Deve quindi operare l’esenzione sul 95%, in luogo della tassazione integrale con la sostitutiva del 26%.
Di fatto, la Cassazione conferma la posizione già espressa con la precedente sentenza 19 luglio 2023, n. 21261.
L’intervento del legislatore
L’art. 16 del DDL di Bilancio interviene nell’art. 68 del TUIR inserendo un comma 2-bis secondo cui le plusvalenze concorrono alla base imponibile nei limiti del 5% nel rispetto delle seguenti condizioni:
- deve trattarsi di partecipazioni qualificate;
- non devono essere partecipazioni in società semplici;
- non devono essere partecipazioni paradisiache;
Invero, non si comprende il motivo di tale requisito in considerazione del fatto che trattandosi di plusvalenze realizzate in società italiane, tale condizione risulterà sempre soddisfatta.
- devono soddisfare i requisiti della PEX di cui all’art. 87 del TUIR;
- il soggetto venditore deve essere una società od un ente commerciale non residente privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato;
- il venditore deve essere residente in uno Stato appartenente all’Unione Europea o allo Spazio Economico Europeo che consente un adeguato scambio di informazioni;
- il venditore deve essere soggetto ad una imposta sul reddito delle società (c.d. subject to tax clause).
È previsto che le plusvalenze siano sommate algebricamente alla corrispondente quota delle relative minusvalenze; se le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze l’eccedenza è riportata in deduzione, fino a concorrenza del 5 per cento dell’ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze sono state realizzate.
Questa ultima previsione, per ovvie ragioni, differisce dal regime tipico delle società commerciali dove le minusvalenze derivanti da società PEX sono indeducibili ai sensi dell’art. 101, comma 1, del TUIR.
L’art. 16 prevede poi una modifica del comma 5 dell’art. 68 in modo da far sì che le minusvalenze PEX di cui al comma 2-bis non rientrino nel comparto delle plusvalenze derivanti dalle lettere da c) a c)-quinquies che costituiscono un unico calderone.
Un quadro di sintesi
Le nuove previsioni estendono alle società estere il regime PEX tipicamente applicabile alle società residenti.
La nuova norma in bozza, tuttavia, non si adagia perfettamente sulla disciplina domestica atteso che le società non residenti possono compensare anche le minusvalenze e dovrebbero assoggettare la quota imponibile alla tassazione del 26%, giusta la previsione contenuta nell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 461/1997.
La tassazione, pertanto dovrebbe attestarsi sul 1.3% in luogo dell’1.2%.
Si renderà necessario un intervento anche sull’art. 5, D.Lgs. n. 461/1997.
Rimangono inoltre escluse dalla previsione le quote non qualificate che, tuttavia, dovrebbero rimanere escluse da tassazione in ragione della citata previsione contenuta nell’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 461/1997.
Riportiamo per completezza il comma 5 secondo cui:
“Non concorrono a formare il reddito le plusvalenze e le minusvalenze, nonché i redditi e le perdite di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 81 [ora 67], del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’articolo 3, comma 1, percepiti o sostenuti da:
a) soggetti residenti all’estero, di cui all’articolo 6, comma 1, del Decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e successive modificazioni”.
Rimangono, inoltre, escluse le partecipazioni in società immobiliari di gestione che continueranno ad essere soggette alla tassazione del 26%.
In questo caso, infatti, non opera l’esclusione di cui al comma 5, art. 5, D.Lgs. n. 461/1997, in considerazione del nuovo comma 5-bis introdotto dalla Legge di Bilancio 2023, secondo cui le disposizioni del comma 5 non si applicano ai redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni in società ed enti, non negoziate in mercati regolamentati, il cui valore, per più della metà, deriva, in qualsiasi momento nel corso dei 365 giorni che precedono la loro cessione, direttamente o indirettamente, da beni immobili situati nel territorio dello Stato.
Un ulteriore aspetto da segnalare attiene al fatto che il nuovo regime trova applicazione in relazione alle partecipazioni detenute dalle società estere di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 73 con i requisiti delle lett. da a) a d) dell’art. 87.
A ben vedere si tratta di tutte le società estere anche se non commerciali.
Tralasciando la questione delle società non commerciali, evidenziamo come le previsioni trovi astrattamente applicazione per le società di persone estere commerciali che sono ricomprese nella lett. d).
Sul punto, tuttavia, si dovrebbe valutare il requisito della subject to tax che potrebbe mancare nelle società di persone estere trasparenti.
Invero la questione pare in evoluzione, atteso che la Legge delega di Riforma fiscale (art. 6, comma 1, lett. h, Legge n. 111/2023) contempla la:
“razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere, prendendo in considerazione la loro qualificazione di entità fiscalmente trasparente ovvero fiscalmente opaca operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di costituzione o di residenza fiscale”.
Il riferimento alle condizioni dell’art. 87, stante la formulazione classica della norma, non pare sufficiente per ritenere che la previsione sia circoscritta alle società di capitali.
Riferimenti normativi:
- Legge 9 agosto 2023, n. 111, art. 6;
- D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 23, 68, 73, 87 e 151;
- D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, art. 5;
- DDL A.S. n. 926;
- Cass., sez. trib., sent. 25 settembre 2023, n. 27267.
Participation exemption estesa alle società non residenti
di Ennio Vial, Silvia Bettiol | 16 Novembre 2023
L’art. 16 del DDL di Bilancio 2024 estende il trattamento della non concorrenza alla formazione del reddito imponibile (c.d. participation exemption) alle plusvalenze qualificate, diverse da quelle derivanti dalla partecipazione in società semplici, aventi i requisiti di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, dell’art. 87 del TUIR, percepite da società ed enti commerciali di cui all’art. 73, comma 1, lettera d), ossia da società non residenti, privi tuttavia di stabile organizzazione nel territorio dello Stato. Invero, la misura di favore opera solo se la società alienante risiede in uno Stato appartenente all’Unione Europea o allo Spazio Economico Europeo che consente un adeguato scambio di informazioni e sia ivi soggetta ad una imposta sul reddito delle società. La novella pone rimedio ad una possibile censura a livello comunitario in quanto, le società estere sono potenzialmente soggette ad un regime fiscale deteriore sulle plusvalenze rispetto alle società domestiche. L’analisi della possibile novella verrà condotta senza approcciare il regime convenzionale.
Il regime impositivo delle plusvalenze realizzate da soggetti non residenti
L’art. 151 del TUIR prevede che i soggetti fiscalmente non residenti in Italia sono tassati nel nostro Paese per i soli redditi qui prodotti (c.d. principio di territorialità).
In base all’art. 23, comma 1, lett. f) del TUIR, richiamato dall’art. 151, si considerano prodotti nel territorio dello Stato “le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti […].”.
In sostanza, la plusvalenza realizzata da una società estera in occasione della cessione di una partecipazione in una società domestica, deve essere assoggettata a tassazione in Italia.
La norma prevede due casi di esclusione relativi alle plusvalenze di cui alla lett. c-bis), art. 67, comma 1, (partecipazioni non qualificate), derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute (art. 23, comma 1, lett. f, n. 1) e le plusvalenze da cessione di partecipazioni non qualificate realizzate da soggetti residenti all’estero, di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. 1° aprile 1996, n. 239, ossia residenti in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 461/1997).
Si tratta, in sostanza, del caso tutt’altro che marginale del socio residente in un Paese incluso nel D.M. 4 settembre 1996 che realizza una plusvalenza da cessione di partecipazione qualificata in una società italiana.
Va inoltre ricordato che, secondo l’art. 151, il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è determinato secondo le disposizioni del Titolo I, relative alle categorie nelle quali rientrano.
Ciò comporta che le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni conseguite da società estere devono ritenersi ricomprese nella categoria dei redditi diversi.
La tassazione dei suddetti redditi avviene in sede di dichiarazione dei redditi (modello Redditi società di capitali ed enti commerciali), mediante la compilazione del quadro RT, con applicazione dell’imposta sostitutiva, allo stato attuale, fissata nella misura del 26%.
Ovviamente, non trova applicazione al caso di specie l’art. 87, D.P.R. n. 917/1986, che prevede un regime di esenzione (c.d. PEX) sul 95% della plusvalenza, norma dedicata al reddito di impresa.
Le origini del problema
La sentenza della Corte di Cassazione 25 settembre 2023, n. 27267 ha stabilito che, in virtù del principio della libertà di stabilimento e del divieto delle restrizioni ai movimenti dei capitali (artt. 49 e 63 del TFUE), le plusvalenze realizzate in Italia da una società fiscalmente residente in Francia e priva di stabile organizzazione nel nostro Paese devono essere assoggettate al medesimo regime fiscale delle plusvalenze realizzate dalle società italiane. Deve quindi operare l’esenzione sul 95%, in luogo della tassazione integrale con la sostitutiva del 26%.
Di fatto, la Cassazione conferma la posizione già espressa con la precedente sentenza 19 luglio 2023, n. 21261.
L’intervento del legislatore
L’art. 16 del DDL di Bilancio interviene nell’art. 68 del TUIR inserendo un comma 2-bis secondo cui le plusvalenze concorrono alla base imponibile nei limiti del 5% nel rispetto delle seguenti condizioni:
Invero, non si comprende il motivo di tale requisito in considerazione del fatto che trattandosi di plusvalenze realizzate in società italiane, tale condizione risulterà sempre soddisfatta.
È previsto che le plusvalenze siano sommate algebricamente alla corrispondente quota delle relative minusvalenze; se le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze l’eccedenza è riportata in deduzione, fino a concorrenza del 5 per cento dell’ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che sia indicata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale le minusvalenze sono state realizzate.
Questa ultima previsione, per ovvie ragioni, differisce dal regime tipico delle società commerciali dove le minusvalenze derivanti da società PEX sono indeducibili ai sensi dell’art. 101, comma 1, del TUIR.
L’art. 16 prevede poi una modifica del comma 5 dell’art. 68 in modo da far sì che le minusvalenze PEX di cui al comma 2-bis non rientrino nel comparto delle plusvalenze derivanti dalle lettere da c) a c)-quinquies che costituiscono un unico calderone.
Un quadro di sintesi
Le nuove previsioni estendono alle società estere il regime PEX tipicamente applicabile alle società residenti.
La nuova norma in bozza, tuttavia, non si adagia perfettamente sulla disciplina domestica atteso che le società non residenti possono compensare anche le minusvalenze e dovrebbero assoggettare la quota imponibile alla tassazione del 26%, giusta la previsione contenuta nell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 461/1997.
La tassazione, pertanto dovrebbe attestarsi sul 1.3% in luogo dell’1.2%.
Si renderà necessario un intervento anche sull’art. 5, D.Lgs. n. 461/1997.
Rimangono inoltre escluse dalla previsione le quote non qualificate che, tuttavia, dovrebbero rimanere escluse da tassazione in ragione della citata previsione contenuta nell’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 461/1997.
Riportiamo per completezza il comma 5 secondo cui:
“Non concorrono a formare il reddito le plusvalenze e le minusvalenze, nonché i redditi e le perdite di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 81 [ora 67], del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’articolo 3, comma 1, percepiti o sostenuti da:
a) soggetti residenti all’estero, di cui all’articolo 6, comma 1, del Decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, e successive modificazioni”.
Rimangono, inoltre, escluse le partecipazioni in società immobiliari di gestione che continueranno ad essere soggette alla tassazione del 26%.
In questo caso, infatti, non opera l’esclusione di cui al comma 5, art. 5, D.Lgs. n. 461/1997, in considerazione del nuovo comma 5-bis introdotto dalla Legge di Bilancio 2023, secondo cui le disposizioni del comma 5 non si applicano ai redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni in società ed enti, non negoziate in mercati regolamentati, il cui valore, per più della metà, deriva, in qualsiasi momento nel corso dei 365 giorni che precedono la loro cessione, direttamente o indirettamente, da beni immobili situati nel territorio dello Stato.
Un ulteriore aspetto da segnalare attiene al fatto che il nuovo regime trova applicazione in relazione alle partecipazioni detenute dalle società estere di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 73 con i requisiti delle lett. da a) a d) dell’art. 87.
A ben vedere si tratta di tutte le società estere anche se non commerciali.
Tralasciando la questione delle società non commerciali, evidenziamo come le previsioni trovi astrattamente applicazione per le società di persone estere commerciali che sono ricomprese nella lett. d).
Sul punto, tuttavia, si dovrebbe valutare il requisito della subject to tax che potrebbe mancare nelle società di persone estere trasparenti.
Invero la questione pare in evoluzione, atteso che la Legge delega di Riforma fiscale (art. 6, comma 1, lett. h, Legge n. 111/2023) contempla la:
“razionalizzazione in materia di qualificazione fiscale interna delle entità estere, prendendo in considerazione la loro qualificazione di entità fiscalmente trasparente ovvero fiscalmente opaca operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di costituzione o di residenza fiscale”.
Il riferimento alle condizioni dell’art. 87, stante la formulazione classica della norma, non pare sufficiente per ritenere che la previsione sia circoscritta alle società di capitali.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Participation exemption
Questo documento fa parte del FocusManovra 2024