Commento
IVA

IVA non dovuta rimborsabile a seguito di definizione agevolata delle liti pendenti

di Marco Peirolo | 28 Agosto 2023
IVA non dovuta rimborsabile a seguito di definizione agevolata delle liti pendenti

Con la Risposta all’interpello n. 408 del 31 luglio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la definizione agevolata della controversia tributaria da parte del cliente che abbia detratto l’IVA, indebitamente applicata a titolo di rivalsa dal fornitore, legittima quest’ultimo, nei limiti delle somme corrisposte alla controparte ai fini della definizione, a presentare domanda di rimborso entro il termine di due anni dalla data di restituzione alla controparte medesima dell’imposta pagata a titolo di rivalsa.

Premessa

L’interpello al quale ha dato risposta l’Agenzia delle Entrate è relativo alla possibilità, da parte del fornitore, di chiedere all’Erario il rimborso dell’IVA indebitamente applicata in fattura al cliente, dopo che l’Amministrazione finanziaria ha contestato a quest’ultimo l’esercizio della detrazione.

Nel caso di specie, il cliente ha aderito alla definizione agevolata della controversia tributaria ex art. 1, commi 186-202, della Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023) e ha, quindi, chiesto al fornitore la restituzione dell’imposta indebitamente pagata in via di rivalsa.
Il fornitore ha provveduto al versamento dell’imposta alla controparte e intende, di conseguenza, chiedere il rimborso all’Erario.
Il dubbio interpretativo, avente per oggetto la previsione dell’art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, è relativo al termine iniziale della domanda di rimborso da parte del fornitore, non essendo chiaro se sia necessario attendere l’estinzione della controversia e/o lo spirare del termine per l’eventuale notifica del diniego da parte dell’Agenzia delle Entrate competente.

La vigente disciplina del rimborso dell’IVA non dovuta

L’art. 8, comma 1, della Legge n. 167/2017 (Legge europea 2017) ha introdotto il nuovo art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972 al fine di disciplinare il rimborso dell’IVA non dovuta.

In base al comma 1, che corrisponde al contenuto dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, avente per oggetto il c.d. “rimborso anomalo”, il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dal versamento della medesima ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Il successivo comma 2 stabilisce che, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Infine, il comma 3 pone un limite più generale al diritto di rimborso, disponendo che:

“la restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.

La disciplina esposta deve essere necessariamente coordinata con l’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997, nel testo riformulato dall’art. 1, comma 935, della Legge n. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018).

È stato previsto, in particolare, che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 ss. del D.P.R. n. 633/1972, il cessionario o il committente anzidetto è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

In pratica, il cliente ha il diritto di detrarre l’imposta erroneamente assolta dal fornitore, pur costituendo tale comportamento una violazione, ma la sanzione prevista per l’infrazione non è più commisurata al tributo detratto, ma è stabilita entro i suddetti limiti, minimo e massimo.

Ne discende, quindi, che, se il cliente esercita la detrazione, non potrà chiedere la restituzione dell’imposta né all’Erario né al proprio fornitore, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 30-ter del D.P.R. n. 633/1972 non troveranno applicazione.

Occorre, tuttavia, osservare che, secondo la posizione della prassi amministrativa (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 3 agosto 2021, n. 52) e della giurisprudenza (Cass. 19 novembre 2021, n. 35500; Cass. 21 aprile 2021, n. 10439; Cass. 3 novembre 2020, n. 24289), il citato art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997 si applica nel solo caso di errore di aliquota IVA e non anche nelle restanti ipotesi, in cui l’IVA sia stata indebitamente applicata in fattura in relazione ad una operazione non imponibile, esente o non soggetta.

La previgente disciplina del rimborso dell’IVA non dovuta

Assonime, nella circolare n. 12 del 31 maggio 2018, ha osservato come la disciplina in vigore prima delle modifiche operate dalla Legge europea 2017 e dalla Legge di Bilancio 2018 risultava inadeguata sotto un duplice profilo:

  • in primo luogo, perché il termine biennale di decadenza a disposizione del fornitore per chiedere il rimborso di cui all’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 è inferiore al termine quinquennale entro il quale l’Amministrazione finanziaria può contestare l’erronea applicazione dell’imposta e al termine decennale di prescrizione a disposizione del cliente per l’azione di ripetizione nei confronti dell’operatore, ex artt. 2033 e 2946 c.c. Sul punto, la Corte di giustizia ha affermato che il disallineamento dei termini di rimborso a disposizione, rispettivamente, del fornitore e del cliente non sia, di per sé, incompatibile con l’ordinamento unionale, ma la tutela dei princìpi di effettività e di equivalenza esige che sia garantita la restituzione dell’IVA al fornitore se esposto all’azione di ripetizione del cliente (sent. 15 dicembre 2011, causa C-427/10). La Corte di Cassazione ha, tuttavia, recepito in modo alquanto rigoroso le indicazioni della Corte europea, ritenendo che - per la restituzione dell’imposta al fornitore - non sia sufficiente la mera richiesta di rimborso da parte del cliente, essendo necessario un provvedimento coattivo che disponga l’obbligo di pagamento a suo favore (sent. 20 luglio 2012, n. 12666 e, più recentemente, ord. 26 gennaio 2016, n. 1426; sent. 24 febbraio 2015, n. 3627; sent. 10 dicembre 2014, n. 25988; sent. 15 marzo 2013, n. 6605);
  • in secondo luogo, perché il cliente che avesse detratto l’imposta erroneamente addebitata in fattura dal proprio fornitore, oltre a subire il recupero dell’imposta detratta, era soggetto anche all’applicazione della sanzione proporzionale (90% dell’imposta, ex art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997).

Rimborso IVA in caso di definizione agevolata delle liti pendenti

Nell’analizzare la questione oggetto di interpello, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che il citato art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 pone tra le condizioni necessarie per la presentazione della domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, applicata ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, la circostanza che la stessa imposta sia stata accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria.

Con le Risposte ad interpello n. 128 e 129 del 23 aprile 2019, in merito alla definizione agevolata delle controversie di cui all’art. 6 del D.L. n. 119/2018 di un avviso di accertamento per il recupero dell’IVA indetraibile in capo al cessionario, è stato chiarito che, con la definizione agevolata, il procedimento può considerarsi concluso in via definitiva al momento del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale che dichiara l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito della definizione agevolata; conseguentemente, il cedente è legittimato a presentare domanda di restituzione entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

A tal fine, sono state richiamate le conclusioni contenute nella circolare n. 23/E del 25 settembre 2017, secondo cui il cedente o prestatore che ha validamente aderito alla definizione può avvalersi della disposizione di cui all’art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.

In coerenza con tali indicazioni, l’Agenzia delle Entrate - nella Risposta n. 408/2023 - ha chiarito che i principi ivi stabiliti possano essere applicati anche alle controversie tributarie definite in via agevolata secondo le disposizioni della Legge di Bilancio 2023.

Ne consegue che l’adesione alla definizione agevolata della controversia tributaria da parte del cessionario/committente che abbia detratto l’IVA indebitamente addebitatagli a titolo di rivalsa legittima il cedente/prestatore, nei limiti delle somme corrisposte alla controparte ai fini della definizione, a presentare domanda di rimborso ai sensi dell’art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 entro il termine di due anni dalla data di restituzione alla controparte medesima dell’IVA pagata a titolo di rivalsa.

Il rimborso può avvenire per un importo pari a quanto restituito alla controparte, che non può essere superiore a quanto effettivamente pagato in sede di definizione agevolata della controversia e, in caso di pagamento dilazionato di quanto dovuto per la definizione agevolata, rilevano le rate effettivamente pagate.

Anche con riferimento alla definizione agevolata disposta dalla Legge di Bilancio 2023, il procedimento può considerarsi concluso in via definitiva al momento del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale che dichiara l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere a seguito della definizione agevolata. Conseguentemente, è possibile presentare domanda di restituzione, ex art. 30-ter, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione alla controparte dell’importo pagato a titolo di rivalsa.

Riferimenti normativi:

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