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Incasso giuridico: la Cassazione ha cambiato orientamento?

di Marco Baldin | 21 Giugno 2023
Incasso giuridico: la Cassazione ha cambiato orientamento?

L’Amministrazione finanziaria aveva elaborato da tempo il concetto di “incasso giuridico” con una finalità antielusiva. Questa finzione giuridica era stata contrastata dalla dottrina e, con la sentenza n. 16595/2023, anche la Corte di Cassazione sembra superare i propri orientamenti precedenti a seguito delle modifiche normative introdotte dal D.Lgs. n. 147/2015.

Incasso giuridico: definizione

La Cassazione, con la sentenza n. 16595 del 12 giugno 2023, sembra aver istituito un principio innovativo per quanto riguarda il c.d. “incasso giuridico”, andando a porsi in contrasto con varie pronunce giurisprudenziali precedenti in materia.

Il c.d. “incasso giuridico” è un concetto elaborato dall’Amministrazione finanziaria con una funzione antielusiva.

Secondo questa finzione giuridica la rinuncia ad un credito correlato a redditi tassati per cassa presuppone l’avvenuto incasso, dal punto di vista fiscale, di questo importo e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il relativo ammontare anche mediante applicazione di una ritenuta di imposta.

Dal punto di vista della prassi il concetto è stato introdotto con la C.M. n. 73/E/1994 che riporta: “tutti i crediti ai quali il socio rinuncia vanno portati ad aumento del costo della partecipazione, ai sensi dell’art. 61, comma 5, del TUIR, i quali, per la società non costituiscono sopravvenienze attive, così come dispone l’art. 55, comma 4, del TUIR. Naturalmente la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi spettanti agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti dei soci) presuppone l’avvenuto incasso giuridico del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare, anche mediante applicazione della ritenuta di imposta”.

Ne discende, ad esempio, che un’eventuale rinuncia da parte del socio al compenso pattuito fa scattare il meccanismo dell’incasso giuridico che comporta:

  • l’imponibilità del compenso in capo al socio;
  • l’obbligo di versamento della ritenuta fiscale in capo alla società.

La ratio di fondo dell’incasso giuridico è quella di prevenire arbitraggi fiscali che si verificano quando un soggetto (la società) è tassato per competenza mentre l’altro (il socio) è tassato per cassa.

I recenti orientamenti giurisprudenziali

Tale fictio iuris era stata confermata dalla giurisprudenza con la recente sentenza n. 12222/2022 secondo la quale la rinuncia, da parte del socio-amministratore, al TFM costituisce dal punto di vista giuridico un incasso, come tale suscettibile di essere tassato, in quanto:

  • da un lato costituisce espressione della volontà di patrimonializzare la società e, pertanto, presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene, comunque, “utilizzato”;
  • dall’altro, arricchisce un soggetto giuridico, la società, che di fatto appartiene al rinunciante in quanto socio della stessa.

La dottrina, negli anni passati, ha particolarmente osteggiato questa tesi. Ma nella citata sentenza n. 16595 la Cassazione effettua un’importante (ed auspicata) distinzione.

Infatti, secondo la disciplina in vigore sino al periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015, la rinuncia, da parte del socio, al credito nei confronti della società partecipata non determinava, in capo a quest’ultima, l’insorgere di una sopravvenienza attiva rilevante ai fini della formazione del reddito imponibile ai sensi dell’art. 88, comma 4, del TUIR.

A partire dal periodo d’imposta successivo, ovvero dal 2016 per i soggetti solari, invece, è stata modificata la norma di riferimento e, secondo la formulazione del comma 4-bis dell’art. 88 del TUIR, “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale”.
Il nuovo regime qualifica, ora, come “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito in capo al socio.

Ciò crea uno scenario completamente diverso in campo al socio rinunciante. Quest’ultimo, infatti, aumenta il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società beneficia di una sopravvenienza non tassabile solo nei limiti di detto valore.

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguardava un socio che aveva rinunciato al rimborso di una parte del finanziamento eseguito in favore della società partecipata, inclusi gli interessi maturati su di esso.
L’Ufficio aveva ritenuto di poter considerare incassati gli interessi stessi, in virtù del suddetto principio dell’incasso giuridico.

Nella formulazione originaria dell’art. 88 del TUIR la società avrebbe potuto dedurre gli interessi sul finanziamento secondo il principio di competenza economica mentre il socio, se persona fisica, avrebbe potuto dichiararli “per cassa”. Parimenti per la società la rinuncia al credito non avrebbe generato una sopravvenienza mentre per il socio avrebbe incrementato il costo fiscale della partecipazione.

Al fine di evitare questi arbitraggi l’Agenzia delle Entrate ha postulato il concetto di “incasso giuridico” che consentiva di considerare incassati, fiscalmente, i crediti rinunciati e tassati “per cassa”.

A seguito delle nuove norme del 2015, considerando che il valore fiscale di un credito tassato “per cassa” ha valore pari a zero, l’effetto fiscale della rinuncia di questa somma da parte del socio diventa nullo. Infatti, la società andrà a realizzare una sopravvenienza attiva pari all’intero ammontare dell’importo nominale del credito rinunciato generando un componente positivo di reddito. Parimenti non si determina neppure un incremento del costo della partecipazione, considerano che il costo fiscale del credito è nullo.

Questo principio di diritto, a parere di chi scrive, ha sicuramente portata generale e dovrebbe applicarsi anche alla rinuncia al TFM da parte degli amministratori.

Pertanto sarebbe opportuno che l’Amministrazione finanziaria recepisse quanto prima questo nuovo orientamento della Corte di Cassazione.

Riferimenti normativi:

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