Introduzione
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente diramato un copioso numero di Interpelli che riguardano diversi temi connessi alla tassazione in ambito internazionale dei redditi di lavoro dipendente.
Molti di questi, tuttavia, affrontano a monte il problema della residenza fiscale che, come noto, è disciplinata dall’art. 2, comma 2 del TUIR ma che, in caso di conflitto di residenza tra due Paesi, viene, altresì, regolamentata dalla Convenzione contro le doppie imposizioni di volta in volta applicabile.
Il problema dell’“unico vincitore”
Normalmente le Convenzioni prevedono una serie di regole che devono essere applicate per determinare la residenza fiscale della persona fisica, nel caso in cui le normative interne di entrambi i Paesi considerino il soggetto fiscalmente residente al loro interno.
Non viene mai affrontato, salvo il caso della Convenzione con la Svizzera e della Convenzione con la Germania, il tema della ripartizione del periodo di 12 mesi tra i due Stati interessati.
Alcune recenti Risposte ad interpello hanno proprio ad oggetto il c.d. split year nel caso della Convenzione con la Svizzera.
Lo split year nella Convenzione con la Svizzera
Vi sono, infatti, tre Risposte ad Interpello che affrontano la questione dello split year nel caso della Svizzera.
La prima è la n. 54 del 17 gennaio 2023.
Il contribuente ha lavorato in Svizzera fino al 31 maggio 2022 e si è trasferito in Italia dal 1° giugno, trasferendo anche da un Paese all’altro tutto il centro dei propri interessi.
L’Agenzia delle Entrate riconosce la tassazione esclusivamente in Svizzera del reddito ivi prodotto fino al 31 maggio 2022 e la tassazione esclusiva in Italia del reddito prodotto nel nostro Paese dal 1° giugno 2022.
Il principio dello split year è riconosciuto anche nella Risposta n. 73 del 18 gennaio 2023.
In questo caso un soggetto muta la propria residenza dalla Svizzera all’Italia a partire dal 2 giugno di un anno imprecisato.
L’intervento dell’Agenzia è interessante in quanto precisa che la disposizione convenzionale prevale sulla normativa interna ed anche sul comma 2-bis dell’art. 2 del TUIR, relativo alla presunzione di residenza in Italia per i soggetti trasferiti in Paesi rientranti nel D.M. 4 maggio 1999. Conferma che emerge anche nella Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023.
Infine, il principio dello split year è riconosciuto anche nella Risposta n. 98 del 19 gennaio 2023.
Il caso era quello di un contribuente che trasferiva la residenza in Svizzera a partire dalla metà di giugno 2020.
Da aprile 2020 fino al trasferimento in Svizzera il soggetto lavorava per una Università elvetica in smart working dall’Italia.
L’Agenzia chiarisce che il reddito deve essere assoggettato a tassazione in Italia, ma che non è riconosciuta la retribuzione convenzionale in quanto la tipologia di attività non rientra nelle tabelle del Decreto.
Il fatto che il contribuente e l’Agenzia si pongano il problema della retribuzione convenzionale appare di primo acchito irrazionale in quanto, se l’attività è svolta in Italia, seppur in smart working la tassazione dovrebbe competere esclusivamente al nostro Paese e non si dovrebbe parlare di retribuzione convenzionale.
Tuttavia, pur se non menzionato espressamene dalla Risposta in esame, era in vigore un accordo con la Svizzera sottoscritto proprio in periodo Covid-19, in base al quale, anche se il dipendente lavorava in smart working in Italia di fatto era come se lo stesso lavorasse in presenza all’estero.
Di qui il problema della retribuzione convenzionale.
Invero, l’esclusione potrebbe discendere anche dalle argomentazioni fornite con la Risposta ad Interpello n. 50, che commenteremo a breve, ossia potrebbe derivare dal fatto che, ad avviso dell’Ufficio, il periodo dei 183 giorni richiesto per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali deve essere soddisfatto sempre in costanza di residenza italiana.
La Risposta n. 98, inoltre, appare interessante in quanto sembra implicitamente superare le tesi esposte nella Risposta n. 171/2020 in cui era stato escluso il frazionamento nell’ipotesi di una contribuente che, nel corso del 2019, era stata in Svizzera fino a settembre e in Italia da ottobre. In quell’occasione, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva affermato che la contribuente non poteva essere considerata residente in Italia in quanto non superava i 183 giorni previsti dall’art. 2 del TUIR. Probabilmente, ma una conferma potrebbe essere interessante, l’Ufficio non aveva considerato, in quella occasione, il problema dello split year, peraltro, neppure menzionato nella risposta all’epoca data.
La residenza ai tempi del Covid
La Risposta 17 gennaio 2023, n. 50 affronta il caso di un soggetto che nel 2021 era residente in Italia e che a giugno ha iniziato a lavorare in smart working per una ditta irlandese.
Solo nel mese di luglio 2021 il contribuente si è trasferito in Irlanda, e solo dal mese di agosto tutta la famiglia si è iscritta all’AIRE.
Il contribuente dichiara che, se non vi fossero state le restrizioni connesse alla pandemia, egli si sarebbe trasferito in Irlanda da giugno e sarebbe, quindi, risultato fiscalmente ivi residente per tutto l’anno.
L’Agenzia delle Entrate non attribuisce valenza a queste mere intenzioni per cui il contribuente deve essere considerato fiscalmente residente in Italia per tutto l’anno.
Conseguentemente, il reddito prodotto in Irlanda deve essere assoggettato a tassazione in entrambi i Paesi con riconoscimento, in Italia di un credito per le imposte pagate all’estero.
Diversamente, il reddito prodotto in smart working in Italia sarà soggetto alla tassazione esclusiva nel nostro Paese senza, peraltro, la possibilità di fruire delle retribuzioni convenzionali in quanto il contribuente non riesce a soddisfare il requisito del periodo di lavoro all’estero eccedente i 183 giorni, richiesto dalla norma, né nel 2021, in quanto lavora all’estero solo da luglio, né splafonando con il conteggio nel 2022, in quanto si legge che in detto anno egli si era trasferito in Svizzera.
Anche la Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023 analizza un caso di tassazione di redditi di lavoro dipendente percepiti da un contribuente che è rimasto “bloccato” in Italia durante il 2020, pur continuando a prestare la propria attività per il datore di lavoro cinese.
La risposta è interessante in quanto il contribuente, pur mantenendo l’iscrizione all’AIRE dichiara di essere rimasto in Italia per oltre 183 giorni per colpa dell’epidemia.
Ebbene, l’Ufficio non considera “automaticamente” il contribuente residente in Italia solo a fronte del superamento dei 183 giorni di permanenza!
Vengono, infatti, citate le Linee guida OCSE diramate proprio a fronte dell’emergenza epidemiologica dapprima in aprile 2020 e poi in gennaio 2021.
Secondo l’Ufficio, infatti, anche se il contribuente mantiene l’iscrizione all’AIRE ma supera il periodo di 183 giorni di permanenza in Italia in quanto “bloccato” a fronte dell’emergenza Covid, potrebbe comunque essere considerato fiscalmente residente in entrambi i Paesi! Non è dirimente il mero criterio dei “giorni di presenza” essendo necessario, come prescrivono le convenzioni contro le doppie imposizioni, utilizzare le c.d. tie break rules.
Si legge nell’interpello che “Al fine di stabilire il luogo del soggiorno abituale, occorre infatti tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo. Inoltre, l’analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per poter accertare tali aspetti evitando l’influenza di situazioni transitorie.
Pertanto, qualora in sede di accertamento fosse contestata all’Istante la residenza fiscale in Italia nel 2020, la stessa dovrebbe essere appurata non soltanto in virtù degli elementi richiesti dalla vigente normativa interna italiana (art. 2, comma 2, del TUIR) quanto sulla base dei criteri stabiliti nella citata Convenzione tra l’Italia e la Cina, valorizzando i fatti e le circostanze specifiche (come, ad esempio, la disponibilità di un’abitazione permanente in Cina, l’assenza di familiari in Italia, le sue relazioni personali ed economiche)”.
Il caso del divorziato e della residenza elettiva
Segnaliamo, infine, due ulteriori interventi dell’Agenzia.
La Risposta interpello 18 gennaio 2023, n. 79 affronta il caso di un soggetto divorziato che si pone il problema se, ai fini del cambiamento di residenza, rilevi la sentenza di divorzio o la trascrizione della stessa.
L’Agenzia delle Entrate, nel chiarire che il divorzio rappresenta uno degli elementi da valutare, ma non certo l’unico, implicitamente riconosce la non essenzialità della trascrizione della sentenza.
Infine, con la Risposta ad Interpello 20 gennaio 2023, n. 119, l’Agenzia affronta il caso della residenza elettiva.
Il contribuente, per poter restare in Italia per un periodo superiore a 90 giorni, ha richiesto un visto di soggiorno per residenza elettiva che gli è stato rilasciato a maggio del XXXX con durata di 1 anno.
Il D.M. 11 maggio 2011 rimanda alla nozione di residenza effettiva, che è quella determinata dalla abituale e volontaria dimora di una persona in un determinato luogo, ossia dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente. Benché l’Agenzia chiarisca che la residenza elettiva non rileva in quanto tale come elemento che individua la residenza fiscale ex art. 2 del TUIR non manca, tuttavia, di evidenziare come, concretamente, detta residenza elettiva possa ragionevolmente portare a una dimora stabile in Italia del contribuente che, quindi, astrattamente, potrebbe determinare il soddisfacimento di uno dei requisiti dell’art. 2 del TUIR.
Riferimenti normativi:
- TUIR, art. 2;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 20 gennaio 2023, n. 119;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 19 gennaio 2023, n. 99;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 19 gennaio 2023, n. 98;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 18 gennaio 2023, n. 79;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 18 gennaio 2023, n. 73;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 17 gennaio 2023, n. 54;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 17 gennaio 2023, n. 50;
- Agenzia delle Entrate, Risp. a istanza di interpello 9 giugno 2020, n. 171.
La residenza fiscale nella recente prassi dell’Agenzia
di Silvia Bettiol | 3 Febbraio 2023
Recentemente numerosi Interpelli dell’Agenzia delle Entrate hanno riguardato i temi connessi alla tassazione in ambito internazionale dei redditi di lavoro dipendente.
Alcuni hanno affrontato anche il problema della residenza fiscale, che è disciplinata dall’art. 2, comma 2, del TUIR, ma che, in caso di conflitto di residenza tra due Paesi, viene, altresì, regolamentata dalla Convenzione contro le doppie imposizioni di volta in volta applicabile.
Introduzione
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente diramato un copioso numero di Interpelli che riguardano diversi temi connessi alla tassazione in ambito internazionale dei redditi di lavoro dipendente.
Molti di questi, tuttavia, affrontano a monte il problema della residenza fiscale che, come noto, è disciplinata dall’art. 2, comma 2 del TUIR ma che, in caso di conflitto di residenza tra due Paesi, viene, altresì, regolamentata dalla Convenzione contro le doppie imposizioni di volta in volta applicabile.
Il problema dell’“unico vincitore”
Normalmente le Convenzioni prevedono una serie di regole che devono essere applicate per determinare la residenza fiscale della persona fisica, nel caso in cui le normative interne di entrambi i Paesi considerino il soggetto fiscalmente residente al loro interno.
Non viene mai affrontato, salvo il caso della Convenzione con la Svizzera e della Convenzione con la Germania, il tema della ripartizione del periodo di 12 mesi tra i due Stati interessati.
Alcune recenti Risposte ad interpello hanno proprio ad oggetto il c.d. split year nel caso della Convenzione con la Svizzera.
Lo split year nella Convenzione con la Svizzera
Vi sono, infatti, tre Risposte ad Interpello che affrontano la questione dello split year nel caso della Svizzera.
La prima è la n. 54 del 17 gennaio 2023.
Il contribuente ha lavorato in Svizzera fino al 31 maggio 2022 e si è trasferito in Italia dal 1° giugno, trasferendo anche da un Paese all’altro tutto il centro dei propri interessi.
L’Agenzia delle Entrate riconosce la tassazione esclusivamente in Svizzera del reddito ivi prodotto fino al 31 maggio 2022 e la tassazione esclusiva in Italia del reddito prodotto nel nostro Paese dal 1° giugno 2022.
Il principio dello split year è riconosciuto anche nella Risposta n. 73 del 18 gennaio 2023.
In questo caso un soggetto muta la propria residenza dalla Svizzera all’Italia a partire dal 2 giugno di un anno imprecisato.
L’intervento dell’Agenzia è interessante in quanto precisa che la disposizione convenzionale prevale sulla normativa interna ed anche sul comma 2-bis dell’art. 2 del TUIR, relativo alla presunzione di residenza in Italia per i soggetti trasferiti in Paesi rientranti nel D.M. 4 maggio 1999. Conferma che emerge anche nella Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023.
Infine, il principio dello split year è riconosciuto anche nella Risposta n. 98 del 19 gennaio 2023.
Il caso era quello di un contribuente che trasferiva la residenza in Svizzera a partire dalla metà di giugno 2020.
Da aprile 2020 fino al trasferimento in Svizzera il soggetto lavorava per una Università elvetica in smart working dall’Italia.
L’Agenzia chiarisce che il reddito deve essere assoggettato a tassazione in Italia, ma che non è riconosciuta la retribuzione convenzionale in quanto la tipologia di attività non rientra nelle tabelle del Decreto.
Il fatto che il contribuente e l’Agenzia si pongano il problema della retribuzione convenzionale appare di primo acchito irrazionale in quanto, se l’attività è svolta in Italia, seppur in smart working la tassazione dovrebbe competere esclusivamente al nostro Paese e non si dovrebbe parlare di retribuzione convenzionale.
Tuttavia, pur se non menzionato espressamene dalla Risposta in esame, era in vigore un accordo con la Svizzera sottoscritto proprio in periodo Covid-19, in base al quale, anche se il dipendente lavorava in smart working in Italia di fatto era come se lo stesso lavorasse in presenza all’estero.
Di qui il problema della retribuzione convenzionale.
Invero, l’esclusione potrebbe discendere anche dalle argomentazioni fornite con la Risposta ad Interpello n. 50, che commenteremo a breve, ossia potrebbe derivare dal fatto che, ad avviso dell’Ufficio, il periodo dei 183 giorni richiesto per l’applicazione delle retribuzioni convenzionali deve essere soddisfatto sempre in costanza di residenza italiana.
La Risposta n. 98, inoltre, appare interessante in quanto sembra implicitamente superare le tesi esposte nella Risposta n. 171/2020 in cui era stato escluso il frazionamento nell’ipotesi di una contribuente che, nel corso del 2019, era stata in Svizzera fino a settembre e in Italia da ottobre. In quell’occasione, infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva affermato che la contribuente non poteva essere considerata residente in Italia in quanto non superava i 183 giorni previsti dall’art. 2 del TUIR. Probabilmente, ma una conferma potrebbe essere interessante, l’Ufficio non aveva considerato, in quella occasione, il problema dello split year, peraltro, neppure menzionato nella risposta all’epoca data.
La residenza ai tempi del Covid
La Risposta 17 gennaio 2023, n. 50 affronta il caso di un soggetto che nel 2021 era residente in Italia e che a giugno ha iniziato a lavorare in smart working per una ditta irlandese.
Solo nel mese di luglio 2021 il contribuente si è trasferito in Irlanda, e solo dal mese di agosto tutta la famiglia si è iscritta all’AIRE.
Il contribuente dichiara che, se non vi fossero state le restrizioni connesse alla pandemia, egli si sarebbe trasferito in Irlanda da giugno e sarebbe, quindi, risultato fiscalmente ivi residente per tutto l’anno.
L’Agenzia delle Entrate non attribuisce valenza a queste mere intenzioni per cui il contribuente deve essere considerato fiscalmente residente in Italia per tutto l’anno.
Conseguentemente, il reddito prodotto in Irlanda deve essere assoggettato a tassazione in entrambi i Paesi con riconoscimento, in Italia di un credito per le imposte pagate all’estero.
Diversamente, il reddito prodotto in smart working in Italia sarà soggetto alla tassazione esclusiva nel nostro Paese senza, peraltro, la possibilità di fruire delle retribuzioni convenzionali in quanto il contribuente non riesce a soddisfare il requisito del periodo di lavoro all’estero eccedente i 183 giorni, richiesto dalla norma, né nel 2021, in quanto lavora all’estero solo da luglio, né splafonando con il conteggio nel 2022, in quanto si legge che in detto anno egli si era trasferito in Svizzera.
Anche la Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023 analizza un caso di tassazione di redditi di lavoro dipendente percepiti da un contribuente che è rimasto “bloccato” in Italia durante il 2020, pur continuando a prestare la propria attività per il datore di lavoro cinese.
La risposta è interessante in quanto il contribuente, pur mantenendo l’iscrizione all’AIRE dichiara di essere rimasto in Italia per oltre 183 giorni per colpa dell’epidemia.
Ebbene, l’Ufficio non considera “automaticamente” il contribuente residente in Italia solo a fronte del superamento dei 183 giorni di permanenza!
Vengono, infatti, citate le Linee guida OCSE diramate proprio a fronte dell’emergenza epidemiologica dapprima in aprile 2020 e poi in gennaio 2021.
Secondo l’Ufficio, infatti, anche se il contribuente mantiene l’iscrizione all’AIRE ma supera il periodo di 183 giorni di permanenza in Italia in quanto “bloccato” a fronte dell’emergenza Covid, potrebbe comunque essere considerato fiscalmente residente in entrambi i Paesi! Non è dirimente il mero criterio dei “giorni di presenza” essendo necessario, come prescrivono le convenzioni contro le doppie imposizioni, utilizzare le c.d. tie break rules.
Si legge nell’interpello che “Al fine di stabilire il luogo del soggiorno abituale, occorre infatti tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo. Inoltre, l’analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per poter accertare tali aspetti evitando l’influenza di situazioni transitorie.
Pertanto, qualora in sede di accertamento fosse contestata all’Istante la residenza fiscale in Italia nel 2020, la stessa dovrebbe essere appurata non soltanto in virtù degli elementi richiesti dalla vigente normativa interna italiana (art. 2, comma 2, del TUIR) quanto sulla base dei criteri stabiliti nella citata Convenzione tra l’Italia e la Cina, valorizzando i fatti e le circostanze specifiche (come, ad esempio, la disponibilità di un’abitazione permanente in Cina, l’assenza di familiari in Italia, le sue relazioni personali ed economiche)”.
Il caso del divorziato e della residenza elettiva
Segnaliamo, infine, due ulteriori interventi dell’Agenzia.
La Risposta interpello 18 gennaio 2023, n. 79 affronta il caso di un soggetto divorziato che si pone il problema se, ai fini del cambiamento di residenza, rilevi la sentenza di divorzio o la trascrizione della stessa.
L’Agenzia delle Entrate, nel chiarire che il divorzio rappresenta uno degli elementi da valutare, ma non certo l’unico, implicitamente riconosce la non essenzialità della trascrizione della sentenza.
Infine, con la Risposta ad Interpello 20 gennaio 2023, n. 119, l’Agenzia affronta il caso della residenza elettiva.
Il contribuente, per poter restare in Italia per un periodo superiore a 90 giorni, ha richiesto un visto di soggiorno per residenza elettiva che gli è stato rilasciato a maggio del XXXX con durata di 1 anno.
Il D.M. 11 maggio 2011 rimanda alla nozione di residenza effettiva, che è quella determinata dalla abituale e volontaria dimora di una persona in un determinato luogo, ossia dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente. Benché l’Agenzia chiarisca che la residenza elettiva non rileva in quanto tale come elemento che individua la residenza fiscale ex art. 2 del TUIR non manca, tuttavia, di evidenziare come, concretamente, detta residenza elettiva possa ragionevolmente portare a una dimora stabile in Italia del contribuente che, quindi, astrattamente, potrebbe determinare il soddisfacimento di uno dei requisiti dell’art. 2 del TUIR.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:ResidenzaSoggetti passivi
Quali sono i temi affrontati recentemente dagli Interpelli dell’Agenzia delle Entrate?
Gli Interpelli hanno riguardato i temi connessi alla tassazione in ambito internazionale dei redditi di lavoro dipendente, inclusa la questione della residenza fiscale tra due Paesi.
Cosa disciplina il problema della residenza fiscale?
Il problema della residenza fiscale è disciplinato dall’art. 2, comma 2, del TUIR. In caso di conflitto di residenza tra due Paesi, viene regolamentato anche dalla Convenzione contro le doppie imposizioni di volta in volta applicabile.
Qual è il principio delle Convenzioni in merito alla residenza fiscale della persona fisica?
Le Convenzioni prevedono una serie di regole per determinare la residenza fiscale della persona fisica, nel caso in cui le normative interne di entrambi i Paesi considerino il soggetto fiscalmente residente al loro interno, senza affrontare il tema della ripartizione del periodo di 12 mesi tra i due Stati interessati, tranne che nel caso delle Convenzioni con la Svizzera e la Germania.
Cosa prevede la Risposta ad Interpello n. 54 del 17 gennaio 2023 in merito allo split year nel caso della Svizzera?
La Risposta n. 54 del 17 gennaio 2023 riconosce la tassazione esclusivamente in Svizzera del reddito ivi prodotto fino al 31 maggio 2022 e la tassazione esclusiva in Italia del reddito prodotto nel nostro Paese dal 1° giugno 2022.
Qual è il criterio per stabilire il luogo del soggiorno abituale, secondo la Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023?
Secondo la Risposta n. 99 del 19 gennaio 2023, per stabilire il luogo del soggiorno abituale si deve tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo e l'analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per accertare tali aspetti, evitando l’influenza di situazioni transitorie.