Prelevamenti non giustificati sul conto corrente dell’imprenditore
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10, del 31 gennaio 2023, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità sollevata in merito all’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973.
Nel caso in esame la Commissione tributaria provinciale di Arezzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di indagini finanziarie e, segnatamente, sulla scorta delle risultanze di conti correnti bancari, recanti versamenti per quasi 168mila euro e prelevamenti per 118mila euro, entrambi non giustificati, aveva accertato una maggiore base imponibile di un imprenditore individuale sia per le imposte dirette, quali l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), sia per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) per l’anno 2013.
L’atto di accertamento veniva impugnato dal contribuente che, a fondamento del ricorso, deduceva in particolare che l’Ufficio, nel rideterminare l’imponibile per la quantificazione delle imposte dirette, sommando i versamenti e i prelevamenti delle movimentazioni sui propri conti correnti, non aveva tenuto conto, se non in parte, delle giustificazioni fornite dallo stesso per superare la presunzione di cui all’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973.
La CTP evidenziava che la predetta norma pone, infatti, una presunzione relativa che, in accordo con la giurisprudenza dominante, può essere superata solo mediante “prove rigorose, e non con presunzioni”, per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario, ove superino gli importi di 1.000,00 euro giornalieri e comunque di 5.000,00 euro mensili.
A fondamento del dubbio di legittimità costituzionale correlato alla violazione del principio di ragionevolezza, la CTP rimettente sottolinea che, a differenza di quanto affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2005, la giurisprudenza di legittimità non consente una deduzione automatica dei costi presuntivamente sostenuti per conseguire i ricavi ottenuti grazie alle somme prelevate senza giustificazione, anche qualora l’Amministrazione finanziaria abbia operato un accertamento analitico-contabile.
Vi è dunque che, nella prospettiva del giudice, la presunzione contestata opera nel senso che mediante il prelievo viene effettuato un acquisto di fattori produttivi che genera, nel medesimo anno di imposta, un ricavo pari al prelevamento.
La sentenza della Consulta
Nell’intento di contrastare più efficacemente gravi fenomeni di evasione, il legislatore ha introdotto una sorta di duplice meccanismo in forza del quale se un imprenditore effettua un prelievo non risultante dalla contabilità lo stesso deve ritenersi compiuto per sostenere costi “occulti” che a propria volta hanno prodotto pari ricavi “occulti”, salvo che il contribuente indichi il beneficiario del prelievo.
Va preliminarmente evidenziato, osservano i giudici della Consulta, che l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui pone la presunzione di equiparazione tanto dei versamenti a redditi “occulti”, quanto dei prelevamenti a ricavi non dichiarati, è stato modificato dal D.L. n. 193/2016, che ha limitato, al duplice scopo di semplificare l’attività di accertamento e di agevolare i contribuenti nella complessa prova contraria da fornire a fronte delle movimentazioni di minore rilievo, l’operare della stessa ai soli prelevamenti per importi superiori a 1.000,00 euro giornalieri e, nel complesso, in ogni caso, a 5.000,00 euro mensili.
Ciò premesso, osserva la Corte Costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, sollevate, in via principale, dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., suscettibili di valutazione unitaria, non sono fondate.
La disposizione censurata pone, in favore del Fisco, una presunzione legale che muove dall’utilizzazione, da parte dell’Ufficio, di “dati ed elementi” acquisiti a seguito di indagini finanziarie e segnatamente, nella specie, di quelle bancarie, per fondare su di essi (o anche su di essi), sia che si tratti di “prelevamenti” (o prelievi), che di “importi riscossi” (versamenti), relativi gli uni e gli altri ad operazioni per importi superiori a 1.000,00 euro giornalieri e, comunque, a 5.000,00 euro mensili, le rettifiche delle dichiarazioni dei redditi, determinati in base alle scritture contabili, delle persone fisiche, e non, di cui agli artt. 38, 39 e 40 dello stesso D.P.R. n. 600/1973, e gli accertamenti d’ufficio, di cui al successivo art. 41.
Si tratta di una presunzione a carattere relativo e non già assoluto, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria, potendo in particolare dimostrare, alternativamente:
- che di tali dati ed elementi “ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta”;
- o che essi “non hanno rilevanza allo stesso fine”;
- oppure che i prelevamenti e gli importi riscossi “risultano dalle scritture contabili”;
- o, infine, che gli stessi hanno un determinato “soggetto beneficiario”, indicato puntualmente dal contribuente.
In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati “ricavi” e possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime delle imposte dirette.
La possibilità della prova contraria, così articolata, che può dare il contribuente, assicura, in principio, la non arbitrarietà della presunzione legale in favore del Fisco, come la Consulta ha già ritenuto (sentenza Corte Costituzionale n. 225/2005).
Non fondate sono, poi, le questioni di legittimità costituzionale sollevate alla Commissione tributaria provinciale di Arezzo, la quale censura, sempre con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., lo stesso art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui equipara presuntivamente i prelievi ingiustificati non risultanti dalle scritture contabili ai ricavi anche per gli imprenditori assoggettati a un regime di contabilità semplificata.
È opportuno ricordare che le imprese individuali e le società di persone e assimilate i cui ricavi non abbiano superato, nell’arco di un intero anno solare, determinate soglie (ovvero, gli importi di 400.000,00 euro se hanno per oggetto prestazioni di servizi e di 700.000,00 euro se hanno per oggetto altre attività), adottano il regime della contabilità semplificata come “naturale”, nel senso che lo stesso opera automaticamente per le medesime, ferma la possibilità di optare, in alternativa, per quello ordinario.
Le imprese che adottano un sistema di contabilità semplificata non sono obbligate a redigere il bilancio e sono esonerate dalla tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari e scritture ausiliarie), in quanto devono registrare solo i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio, mentre non devono provvedere a rilevare gli incassi e i pagamenti.
La Corte Costituzionale ha ritenuto, proprio con riferimento ai prelevamenti bancari, che fosse costituzionalmente illegittimo l’allineamento della posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti a quella degli imprenditori, anche in regime di contabilità semplificata, quanto alla presunzione di ricavi/compensi “occulti”, deducibili dai prelevamenti stessi.
È, pertanto, venuta meno l’equiparazione dei prelevamenti bancari ingiustificati ai compensi.
La Corte Costituzionale in conclusione dichiara non fondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevate in via principale, dalla CTR e in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Riferimenti normativi:
I prelevamenti non giustificati sono espressione di ricavi non dichiarati: legittimi gli accertamenti
di Studio tributario Gavioli & Associati | 16 Febbraio 2023
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 31 gennaio 2023 n. 10, si è recentemente pronunciata sulla presunzione prevista dall’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 affermando che non è da considerarsi fondata la questione di legittimità costituzionale in materia tributaria che prevede la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.
Prelevamenti non giustificati sul conto corrente dell’imprenditore
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10, del 31 gennaio 2023, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità sollevata in merito all’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973.
Nel caso in esame la Commissione tributaria provinciale di Arezzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui pone la presunzione per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.
L’Agenzia delle Entrate, a seguito di indagini finanziarie e, segnatamente, sulla scorta delle risultanze di conti correnti bancari, recanti versamenti per quasi 168mila euro e prelevamenti per 118mila euro, entrambi non giustificati, aveva accertato una maggiore base imponibile di un imprenditore individuale sia per le imposte dirette, quali l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), sia per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) per l’anno 2013.
L’atto di accertamento veniva impugnato dal contribuente che, a fondamento del ricorso, deduceva in particolare che l’Ufficio, nel rideterminare l’imponibile per la quantificazione delle imposte dirette, sommando i versamenti e i prelevamenti delle movimentazioni sui propri conti correnti, non aveva tenuto conto, se non in parte, delle giustificazioni fornite dallo stesso per superare la presunzione di cui all’art. 32, del D.P.R. n. 600/1973.
La CTP evidenziava che la predetta norma pone, infatti, una presunzione relativa che, in accordo con la giurisprudenza dominante, può essere superata solo mediante “prove rigorose, e non con presunzioni”, per la quale i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario, ove superino gli importi di 1.000,00 euro giornalieri e comunque di 5.000,00 euro mensili.
A fondamento del dubbio di legittimità costituzionale correlato alla violazione del principio di ragionevolezza, la CTP rimettente sottolinea che, a differenza di quanto affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 225/2005, la giurisprudenza di legittimità non consente una deduzione automatica dei costi presuntivamente sostenuti per conseguire i ricavi ottenuti grazie alle somme prelevate senza giustificazione, anche qualora l’Amministrazione finanziaria abbia operato un accertamento analitico-contabile.
Vi è dunque che, nella prospettiva del giudice, la presunzione contestata opera nel senso che mediante il prelievo viene effettuato un acquisto di fattori produttivi che genera, nel medesimo anno di imposta, un ricavo pari al prelevamento.
La sentenza della Consulta
Nell’intento di contrastare più efficacemente gravi fenomeni di evasione, il legislatore ha introdotto una sorta di duplice meccanismo in forza del quale se un imprenditore effettua un prelievo non risultante dalla contabilità lo stesso deve ritenersi compiuto per sostenere costi “occulti” che a propria volta hanno prodotto pari ricavi “occulti”, salvo che il contribuente indichi il beneficiario del prelievo.
Va preliminarmente evidenziato, osservano i giudici della Consulta, che l’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui pone la presunzione di equiparazione tanto dei versamenti a redditi “occulti”, quanto dei prelevamenti a ricavi non dichiarati, è stato modificato dal D.L. n. 193/2016, che ha limitato, al duplice scopo di semplificare l’attività di accertamento e di agevolare i contribuenti nella complessa prova contraria da fornire a fronte delle movimentazioni di minore rilievo, l’operare della stessa ai soli prelevamenti per importi superiori a 1.000,00 euro giornalieri e, nel complesso, in ogni caso, a 5.000,00 euro mensili.
Ciò premesso, osserva la Corte Costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, sollevate, in via principale, dalla Commissione tributaria provinciale di Arezzo in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., suscettibili di valutazione unitaria, non sono fondate.
La disposizione censurata pone, in favore del Fisco, una presunzione legale che muove dall’utilizzazione, da parte dell’Ufficio, di “dati ed elementi” acquisiti a seguito di indagini finanziarie e segnatamente, nella specie, di quelle bancarie, per fondare su di essi (o anche su di essi), sia che si tratti di “prelevamenti” (o prelievi), che di “importi riscossi” (versamenti), relativi gli uni e gli altri ad operazioni per importi superiori a 1.000,00 euro giornalieri e, comunque, a 5.000,00 euro mensili, le rettifiche delle dichiarazioni dei redditi, determinati in base alle scritture contabili, delle persone fisiche, e non, di cui agli artt. 38, 39 e 40 dello stesso D.P.R. n. 600/1973, e gli accertamenti d’ufficio, di cui al successivo art. 41.
Si tratta di una presunzione a carattere relativo e non già assoluto, perché opera solo se il contribuente non offre la prova contraria, potendo in particolare dimostrare, alternativamente:
In mancanza di prova contraria, i prelevamenti e gli importi riscossi sono considerati “ricavi” e possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti suddetti per determinare il reddito imponibile nel regime delle imposte dirette.
La possibilità della prova contraria, così articolata, che può dare il contribuente, assicura, in principio, la non arbitrarietà della presunzione legale in favore del Fisco, come la Consulta ha già ritenuto (sentenza Corte Costituzionale n. 225/2005).
Non fondate sono, poi, le questioni di legittimità costituzionale sollevate alla Commissione tributaria provinciale di Arezzo, la quale censura, sempre con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., lo stesso art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui equipara presuntivamente i prelievi ingiustificati non risultanti dalle scritture contabili ai ricavi anche per gli imprenditori assoggettati a un regime di contabilità semplificata.
È opportuno ricordare che le imprese individuali e le società di persone e assimilate i cui ricavi non abbiano superato, nell’arco di un intero anno solare, determinate soglie (ovvero, gli importi di 400.000,00 euro se hanno per oggetto prestazioni di servizi e di 700.000,00 euro se hanno per oggetto altre attività), adottano il regime della contabilità semplificata come “naturale”, nel senso che lo stesso opera automaticamente per le medesime, ferma la possibilità di optare, in alternativa, per quello ordinario.
Le imprese che adottano un sistema di contabilità semplificata non sono obbligate a redigere il bilancio e sono esonerate dalla tenuta delle scritture contabili (libro giornale, libro inventari e scritture ausiliarie), in quanto devono registrare solo i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio, mentre non devono provvedere a rilevare gli incassi e i pagamenti.
La Corte Costituzionale ha ritenuto, proprio con riferimento ai prelevamenti bancari, che fosse costituzionalmente illegittimo l’allineamento della posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti a quella degli imprenditori, anche in regime di contabilità semplificata, quanto alla presunzione di ricavi/compensi “occulti”, deducibili dai prelevamenti stessi.
È, pertanto, venuta meno l’equiparazione dei prelevamenti bancari ingiustificati ai compensi.
La Corte Costituzionale in conclusione dichiara non fondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevate in via principale, dalla CTR e in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
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Cosa ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 10 del 31 gennaio 2023?
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Quali sono le questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo all'art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973?
La Commissione tributaria provinciale di Arezzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Cosa aveva accertato l'Agenzia delle Entrate a seguito delle indagini finanziarie sul conto corrente dell'imprenditore?
L’Agenzia delle Entrate aveva accertato una maggiore base imponibile di un imprenditore individuale sia per le imposte dirette, quali l’IRPEF e l’IRAP, sia per l’IVA per l’anno 2013 a seguito di indagini finanziarie e conti correnti bancari, recanti versamenti e prelevamenti non giustificati.
Come viene considerato un prelievo non risultante dalle scritture contabili secondo l'art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600?
Secondo l'articolo 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973, se i prelevamenti sul conto corrente, se non risultano dalle scritture contabili, sono considerati ricavi dell’imprenditore commerciale, salvo che ne sia indicato il beneficiario.
Qual è la posizione della Corte Costituzionale riguardo all'allineamento della posizione dei lavoratori autonomi e professionisti a quella degli imprenditori?
La Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’allineamento della posizione dei lavoratori autonomi e dei professionisti a quella degli imprenditori, anche in regime di contabilità semplificata, quanto alla presunzione di ricavi/compensi “occulti”, deducibili dai prelevamenti stessi.