La fattispecie concreta
Il caso trae origine dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto di irrogazione di sanzioni conseguente a un invito al pagamento del contributo unificato nella misura massima ex art. 13, comma 6, del D.P.R. n. 115/2002, a causa dell’omessa dichiarazione di valore prevista dall’art. 14, comma 3-bis, del medesimo Decreto.
La CTP di Napoli accoglieva il ricorso, statuendo che il valore della controversia fosse desumibile dal corpo dell’atto e che si trattava di una violazione meramente formale.
La CTR della Campania, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla scorta del fatto che, con un precedente ricorso, il contribuente aveva impugnato il prodromico invito al pagamento del contributo unificato e che il relativo giudizio risultava definito con una dichiarazione di inammissibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della notifica dell’atto di irrogazione di sanzioni. Poiché tale decisione non era stata impugnata, l’invito in discorso era rimasto operante quale valido presupposto della sanzione, senza che assumessero più rilevanza i motivi di legittimità dell’atto prodromico.
Avverso la sentenza di appello, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione ove, con il primo motivo, denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c., nonché degli artt. 112 e 345 c.p.c., rilevando che, contrariamente a quanto stabilito dalla CTR, con il ricorso introduttivo era stato oggetto di impugnazione non soltanto l’atto di irrogazione della sanzione, ma altresì l’invito al pagamento presupposto.
Nel caso di specie, il Supremo Collegio ha respinto il ricorso del contribuente, affermando che la CTR non aveva erroneamente interpretato l’atto introduttivo del giudizio, omettendo di prendere in considerazione la contestuale impugnazione dell’invito al pagamento e dell’atto di irrogazione delle sanzioni, bensì aveva preso atto dell’esistenza di un precedente giudizio, definito con pronuncia in rito di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, avente ad oggetto l’impugnazione del solo invito al pagamento.
Sicché, gli Ermellini hanno rilevato che, a seguito della definizione del suddetto giudizio, si è determinato il consolidamento del merito della pretesa tributaria, con conseguente preclusione a fare valere i motivi relativi al fondamento dell’imposta in sede di impugnazione del successivo atto di irrogazione delle sanzioni, emesso sulla base dell’atto impositivo ormai definitivo.
Ne deriva che il ricorrente, una volta impugnato l’invito al pagamento, a fronte della decisione in rito della CTR, non avrebbe dovuto abbandonare siffatto giudizio, così consentendo che si formasse il giudicato sull’inammissibilità dell’appello.
Difatti, tale scelta ha determinato la definitività dell’atto prodromico, nonché la preclusione alla riproposizione delle stesse questioni di merito in ragione della definitività del provvedimento impugnato conseguente al giudicato formatosi sulla prima impugnazione.
L’autonoma impugnabilità dell’invito al pagamento del contributo unificato
L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 contiene un’elencazione tassativa degli atti impugnabili dinnanzi al Giudice tributario.
Il suddetto elenco, tuttavia, è suscettibile di interpretazione estensiva in conformità, da un lato, alle norme costituzionali poste a tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.); dall’altro, in conseguenza dell’ampliamento della giurisdizione tributaria a tutti i tributi, ai sensi della Legge n. 448/2001.
L’impugnazione, da parte del soggetto destinatario, di un atto non menzionato nel citato art. 19 rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità di impugnazione dell’atto successivo.
Dunque, la natura tassativa dell’elencazione degli atti impugnabili non esclude la possibilità di impugnarne altri, sebbene non espressamente menzionati dalla norma, purché con i provvedimenti in parola il Fisco porti a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria.
A tale proposito, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, pur non avendone le caratteristiche formali, tutti gli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita. Non occorre che l’atto in parola si concluda con un’espressa intimazione al pagamento, essendo sufficiente un invito bonario a versare quanto richiesto.
Ai fini dell’impugnazione dell’atto, sono irrilevanti l’omessa menzione della dicitura “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento”; la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione; l’omessa indicazione della Corte di giustizia tributaria competente.
Ciò posto, è opportuno osservare che già con il ricevimento dell’avviso di pagamento - e non solo con l’atto di irrogazione della sanzione - è configurabile un interesse ad agire del contribuente ex art. 100 c.p.c., in quanto lo stesso ha l’esigenza di chiarire la propria posizione tramite una pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, invocando una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale avente ad oggetto la pretesa impositiva avanzata dall’Ufficio.
Nondimeno, la mancata impugnazione dell’avviso bonario non preclude la possibilità di impugnazione del successivo provvedimento di irrogazione della sanzione, per il tramite del quale si reitera la richiesta di pagamento del contributo unificato non ancora versato con l’aggiunta della sanzione e degli interessi di mora.
In siffatta ottica, è fatta salva la possibilità per la parte interessata di impugnare il provvedimento di irrogazione della sanzione non soltanto per vizi propri dell’atto, ma anche per questioni di merito, pur non avendo il contribuente impugnato ex ante l’avviso di pagamento.
Riferimenti normativi
L’invito al pagamento del contributo unificato è atto autonomamente impugnabile, pena la cristallizzazione della pretesa
di Maurizio Tozzi, Giulia Grisafi | 29 Novembre 2022
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21538/2022, ha ribadito l’orientamento secondo il quale “L’invito al pagamento del contributo unificato non versato ex art. 248 d.P.R. n. 115 del 2002 è l’unico atto liquidatorio, previsto dalla legge, dell’imposta prenotata a debito, con cui viene comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, sicché, a prescindere dalla denominazione, va qualificato come avviso di accertamento o di liquidazione, la cui impugnazione non è facoltativa, ma necessaria ex art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992, pena la cristallizzazione dell’obbligazione, che non può più essere contestata nel successivo giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento”.
La fattispecie concreta
Il caso trae origine dall’impugnazione, da parte del contribuente, di un atto di irrogazione di sanzioni conseguente a un invito al pagamento del contributo unificato nella misura massima ex art. 13, comma 6, del D.P.R. n. 115/2002, a causa dell’omessa dichiarazione di valore prevista dall’art. 14, comma 3-bis, del medesimo Decreto.
La CTP di Napoli accoglieva il ricorso, statuendo che il valore della controversia fosse desumibile dal corpo dell’atto e che si trattava di una violazione meramente formale.
La CTR della Campania, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla scorta del fatto che, con un precedente ricorso, il contribuente aveva impugnato il prodromico invito al pagamento del contributo unificato e che il relativo giudizio risultava definito con una dichiarazione di inammissibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della notifica dell’atto di irrogazione di sanzioni. Poiché tale decisione non era stata impugnata, l’invito in discorso era rimasto operante quale valido presupposto della sanzione, senza che assumessero più rilevanza i motivi di legittimità dell’atto prodromico.
Avverso la sentenza di appello, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione ove, con il primo motivo, denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c., nonché degli artt. 112 e 345 c.p.c., rilevando che, contrariamente a quanto stabilito dalla CTR, con il ricorso introduttivo era stato oggetto di impugnazione non soltanto l’atto di irrogazione della sanzione, ma altresì l’invito al pagamento presupposto.
Nel caso di specie, il Supremo Collegio ha respinto il ricorso del contribuente, affermando che la CTR non aveva erroneamente interpretato l’atto introduttivo del giudizio, omettendo di prendere in considerazione la contestuale impugnazione dell’invito al pagamento e dell’atto di irrogazione delle sanzioni, bensì aveva preso atto dell’esistenza di un precedente giudizio, definito con pronuncia in rito di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, avente ad oggetto l’impugnazione del solo invito al pagamento.
Sicché, gli Ermellini hanno rilevato che, a seguito della definizione del suddetto giudizio, si è determinato il consolidamento del merito della pretesa tributaria, con conseguente preclusione a fare valere i motivi relativi al fondamento dell’imposta in sede di impugnazione del successivo atto di irrogazione delle sanzioni, emesso sulla base dell’atto impositivo ormai definitivo.
Ne deriva che il ricorrente, una volta impugnato l’invito al pagamento, a fronte della decisione in rito della CTR, non avrebbe dovuto abbandonare siffatto giudizio, così consentendo che si formasse il giudicato sull’inammissibilità dell’appello.
Difatti, tale scelta ha determinato la definitività dell’atto prodromico, nonché la preclusione alla riproposizione delle stesse questioni di merito in ragione della definitività del provvedimento impugnato conseguente al giudicato formatosi sulla prima impugnazione.
L’autonoma impugnabilità dell’invito al pagamento del contributo unificato
L’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 contiene un’elencazione tassativa degli atti impugnabili dinnanzi al Giudice tributario.
Il suddetto elenco, tuttavia, è suscettibile di interpretazione estensiva in conformità, da un lato, alle norme costituzionali poste a tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.); dall’altro, in conseguenza dell’ampliamento della giurisdizione tributaria a tutti i tributi, ai sensi della Legge n. 448/2001.
L’impugnazione, da parte del soggetto destinatario, di un atto non menzionato nel citato art. 19 rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità di impugnazione dell’atto successivo.
Dunque, la natura tassativa dell’elencazione degli atti impugnabili non esclude la possibilità di impugnarne altri, sebbene non espressamente menzionati dalla norma, purché con i provvedimenti in parola il Fisco porti a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria.
A tale proposito, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, pur non avendone le caratteristiche formali, tutti gli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita. Non occorre che l’atto in parola si concluda con un’espressa intimazione al pagamento, essendo sufficiente un invito bonario a versare quanto richiesto.
Ai fini dell’impugnazione dell’atto, sono irrilevanti l’omessa menzione della dicitura “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento”; la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione; l’omessa indicazione della Corte di giustizia tributaria competente.
Ciò posto, è opportuno osservare che già con il ricevimento dell’avviso di pagamento - e non solo con l’atto di irrogazione della sanzione - è configurabile un interesse ad agire del contribuente ex art. 100 c.p.c., in quanto lo stesso ha l’esigenza di chiarire la propria posizione tramite una pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, invocando una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale avente ad oggetto la pretesa impositiva avanzata dall’Ufficio.
Nondimeno, la mancata impugnazione dell’avviso bonario non preclude la possibilità di impugnazione del successivo provvedimento di irrogazione della sanzione, per il tramite del quale si reitera la richiesta di pagamento del contributo unificato non ancora versato con l’aggiunta della sanzione e degli interessi di mora.
In siffatta ottica, è fatta salva la possibilità per la parte interessata di impugnare il provvedimento di irrogazione della sanzione non soltanto per vizi propri dell’atto, ma anche per questioni di merito, pur non avendo il contribuente impugnato ex ante l’avviso di pagamento.
Riferimenti normativi
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Qual è il contenuto della controversia descritta nel testo?
Il testo descrive una controversia legale che ha origine dall'impugnazione da parte di un contribuente di un atto di irrogazione di sanzioni per l'omessa dichiarazione di valore prevista da un Decreto.
Qual è stata la decisione della CTP di Napoli?
La CTP di Napoli ha accolto il ricorso, statuendo che il valore della controversia fosse desumibile dal corpo dell'atto e che si trattava di una violazione meramente formale.
Come ha deciso la CTR della Campania in riforma della sentenza di primo grado?
La CTR della Campania, in riforma della sentenza di primo grado, ha accettato l'appello del Ministero dell'Economia e delle Finanze sulla base del precedente ricorso del contribuente e della definitività della sentenza di inammissibilità dell'appello.
Qual è stata la decisione della Suprema Corte di Cassazione?
La Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del contribuente, affermando che la CTR non aveva erroneamente interpretato l'atto introduttivo del giudizio, e che si era determinato il consolidamento del merito della pretesa tributaria.
Come caratterizza l'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 in relazione agli atti impugnabili?
L'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 contiene un'elencazione tassativa degli atti impugnabili dinnanzi al Giudice tributario, suscettibile di interpretazione estensiva in conformità alle norme costituzionali e di ampliamento della giurisdizione tributaria.