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STP: aspetti contabili e fiscali tra cassa e competenza

di Luigi Tucillo - AIDC Napoli | 19 Novembre 2018
STP: aspetti contabili e fiscali tra cassa e competenza

Per le società tra professionisti, costituite ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 183/2011, si è sempre discusso su quale fosse il regime fiscale applicabile, tra quello di cassa e quello di competenza, ai fini della determinazione del reddito imponibile, non essendo mai stato chiaro, infatti, quale fosse la natura del reddito prodotto da tali società. In attesa che arrivi la legge a disciplinare la questione, fino ad oggi è stato determinante, da un punto di vista fiscale, la veste giuridica societaria, prevalendo così un criterio di competenza, mentre non ha avuto alcuna rilevanza l’esercizio dell’attività professionale, improntato ad un criterio di cassa. Questa impostazione si è consolidata nonostante il principio di cassa sia evidentemente di più agevole applicazione rispetto al principio di competenza e potendo, peraltro, contribuire alla riduzione dei motivi di contenzioso con il Fisco.   

Premessa

In attesa che arrivi (i professionisti speravano e tuttora sperano) la legge a disciplinare la questione, le società tra professionisti, costituite ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 183/2011 e disciplinate dal successivo D.M. 8 febbraio 2013 n. 34, sono state finora obbligate a determinare l’imponibile fiscale in misura sempre diversa dall’utile o dalla perdita di cui al bilancio d’esercizio, adottando, quindi, un diverso criterio, ai fini civilistici e fiscali, di determinazione del risultato di esercizio. Quanto appena detto trova applicazione sia nel caso in cui si fosse sposato il regime fiscale delle associazioni di artisti e professionisti, cioè determinando il reddito in base al principio di cassa, o, più precisamente, effettuando la differenza tra compensi percepiti e spese effettivamente sostenute (ex art. 54 TUIR), come era stato previsto nell’originario art. 11 dello schema di D.Lgs. sulle semplificazioni fiscali; sia nel caso in cui fosse confermato dal legislatore il regime attualmente in vigore, per cui il reddito prodotto dalle STP non è di lavoro autonomo, ma reddito d’impresa e, pertanto, determinato in base al principio di competenza.

In base a tale principio, infatti, se i professionisti scelgono di costituire una società di capitali, saranno tenuti ad approvare e a depositare presso il Registro delle Imprese il bilancio d’esercizio, il cui risultato (utile o perdita) non coinciderà fisiologicamente mai con l’imponibile fiscale, utilizzato per il calcolo delle imposte, in quanto il TUIR prevede, appunto, ai fini della determinazione del reddito imponibile, limitazioni, sotto il profilo quantitativo e temporale, per i diversi componenti positivi e negativi di reddito.                                                        

 

Convenienza del principio di cassa

Al contrario, la scelta di sottoporre ad imposizione le società tra professionisti in base al principio di cassa, come più in generale previsto per gli esercenti arti e professioni, semplificherebbe il sistema rispetto alle regole attualmente in vigore. Infatti, una società obbligata alla tenuta della contabilità ordinaria, dovendo già contabilizzare gli incassi e i pagamenti effettuati nel periodo di imposta, indipendentemente dalla competenza dei costi e dei ricavi/compensi, determinerebbe l’imponibile fiscale effettuando, “semplicemente”,  la differenza tra incassi e spese sostenute.  

Perciò, il principio di cassa sarebbe evidentemente di più agevole applicazione, soprattutto con riferimento alle attività aventi ad oggetto prestazioni di servizi, proprio come quelle delle società tra professionisti, poiché in tal caso non sarebbe necessario individuare, in particolare, il momento in cui tali prestazioni sono effettivamente ultimate, il che invece è molto rilevante per il principio di competenza, come attualmente o meglio momentaneamente in vigore. E per questo motivo, rispetto al principio di competenza, il principio di cassa è oggettivamente riscontrabile, potendo così anche concorrere alla riduzione dei motivi di contenzioso con il Fisco.

               

Prassi attuale 

Fino ad oggi, è stata determinante, da un punto di vista fiscale, la veste giuridica societaria, prevalendo così un criterio di competenza, mentre non ha avuto alcuna rilevanza l’esercizio dell’attività professionale, improntato invece ad un criterio di cassa.

E proprio tale incertezza sull’inquadramento fiscale, in attesa di una scelta definitiva e chiarificatrice del legislatore, ha provocato, soprattutto nei primi anni dall’introduzione nell’ordinamento giuridico, uno scarsissimo appeal delle società tra professionisti.

E ancor di più, non fa ben sperare la recente Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 7 maggio 2018, n. 35/E, con la quale l’Agenzia, nel rispondere ad un’istanza di interpello sulla natura del reddito prodotto da una società tra avvocati (categoria disciplinata dall’art. 4 bis della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificata dalla Legge 4 agosto 2017, n. 124), sottolinea che “le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile”, pertanto “non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto” e di conseguenza ritiene che “in assenza di una esplicita norma, l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa, in quanto risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale”. Questa interpretazione è confermata anche dalla Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle Finanze che, come citato nella Risoluzione, ha evidenziato che per tali società “sembra difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario”.

Questa recente impostazione, che è andata sempre più consolidandosi, risulta però innovativa rispetto alla Risoluzione 28 maggio 2003, n. 118/E, la quale, riferendosi alle società tra avvocati, aveva qualificato, ai fini fiscali, il reddito proveniente dalle stesse come reddito di lavoro autonomo, in quanto occorreva “dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta”.

Dunque, attualmente, in assenza di una esplicita norma fiscale (ancora tanto attesa) per le attività professionali (non solo quella forense) svolte in forma societaria, il reddito prodotto dalle società tra professionisti è qualificabile quale reddito d’impresa, ovvero il regime fiscale delle STP è quello delle (“ordinarie”) società di capitali, che producono reddito d’impresa e quindi soggette a Ires e Irap. 

   

Conclusioni

Si conferma, quindi, da prassi amministrativa, la determinazione del reddito delle STP non per cassa ma per competenza, lasciando così irrisolto, almeno per ora, il problema dell’applicazione pratica e concreta di tale principio con tutte le sue difficoltà.

Per questi motivi, i professionisti, molto probabilmente, continueranno a non prediligere la forma societaria per la propria attività, mentre quelli che decideranno a favore della società dovranno davvero organizzarsi, ancor prima, sotto l’aspetto contabile.

Tutto questo, ovviamente, nella perdurante attesa che il legislatore si renda conto delle evidenti difficoltà operative nell’applicazione del principio di competenza per le società tra professionisti e chiarisca, una volta per tutte, che per i professionisti vale sempre il principio di cassa per la determinazione del proprio reddito, a prescindere dalla eventuale organizzazione in forma societaria.   

 

 

 

Riferimenti normativi:

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