Chiusura Partita Iva: i chiarimenti delle Entrate
È noto che il trattamento fiscale da riservare ai ricavi e ai compensi fatturati e non ancora riscossi, così come ai costi e agli oneri che non hanno ancora ricevuto il proprio regolamento finanziario, rappresenta una delle problematiche che si verificano all’uscita dell’attività economica.
In relazione alla rilevanza fiscale della cessione del pacchetto clienti in cui il pagamento avveniva in forma rateale, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale” (Agenzia delle Entrate Circolare 16 febbraio 2007 n. 11/E).
In altri termini, secondo il Fisco, la cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali.
Il lavoratore autonomo dovrebbe, quindi, conservare la partita IVA fino all’incasso della sua ultima prestazione professionale ed emettere relativa fattura.
La posizione interpretativa è stata ribadita dalla successiva Circolare 30 maggio 2012 n. 17/E, la quale precisa che le medesime condizioni si applicano, in linea generale, anche ai contribuenti che fruiscono del regime dei minimi (ex articolo 27, commi 1 e 2, D.L. 98/2011) “a prescindere dal tipo di attività (professionale o d’impresa) esercitata, poiché anche loro determinano il reddito, al pari di quello professionale, secondo il criterio di cassa”.
In alternativa, il medesimo documento di prassi prevede che “in un’ottica di semplificazione che tiene conto delle dimensioni dell’impresa e, in particolare, dall’esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività, si ritiene che è rimessa alla scelta del contribuente la possibilità di determinare il reddito relativo all’ultimo anno di attività tenendo conto anche delle operazioni che non hanno avuto in quell’anno manifestazione finanziaria”.
La Circolare 4 aprile 2016 n. 10/E ha poi confermato la possibilità di estendere tale soluzione interpretativa anche ai soggetti che fruiscono del regime forfettario (ex articolo 1, commi 54-89, Legge n. 190/2014).
Ne consegue che i contribuenti in regime forfettario,così come i minimi, in prossimità della cessazione della propria attività potranno scegliere di regolarizzare in anticipo le proprie pendenze fiscali, imputando all’ultimo anno anche le operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria.
In mancanza di ciò, tali soggetti non possono considerare realmente cessata la propria attività fino all'esaurimento di tutte le operazioni dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti e devono:
- adempiere agli obblighi dichiarativi prescritti: compilando il quadro LM del modello Redditi fino alla definitiva riscossione di tutti i crediti;
- astenersi dal chiudere la partita IVA sino a tale data.
Chiusura Partita Iva e parcelle non incassate: profili Iva
In ambito IVA, l’analisi circa il corretto trattamento dei compensi conseguiti dopo la cessazione dell’attività non può che partire dalla posizione interpretativa fatta propria dalle Sezioni Unite della Cassazione nella Sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016, secondo cui “i compensi di prestazioni da attività imprenditoriale o professionale, conseguiti dopo la cessazione dell'attività medesima, devono ritenersi assoggettati ad IVA, risultandone lo "statuto" impositivo definito dalla contestuale ricorrenza, all'atto del manifestarsi del fatto generatore dell'imposta (e suo presupposto oggettivo) anche del relativo presupposto soggettivo”.
Tale soluzione interpretativa parte dal principio per cui il codice dell’IVA nazionale deve essere in linea con la normativa comunitaira, che distingue tre momenti per l’imposta:
- il fatto generatore che fa sorgere l’obbligazione tributaria;
- l’esigibilità dell’imposta da parte dell’Erario;
- l’incasso del corrispettivo.
Come osservato dalle SS. UU., sia la Sesta Direttiva IVA (n. 77/388/CEE, articolo 10, commi 1 e 2) sia l'attuale Direttiva IVA (n. 2006/112/CE, articoli 62, 63 e 66) evidenziano che il fatto generatore dell'imposta sussiste al momento in cui viene effettua la cessione/prestazione. Questo deve essere considerato il momento in cui si determina di regola l’esigibilità dell’imposta e non invece il momento in cui si percepisce il corrispettivo.
Pertanto, il professionista che, dopo la cessazione dell’attività, dovesse incassare un compenso relativo alla propria attività professionale in precedenza svolta, deve assoggettare ad IVA tale corrispettivo.
L’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione risulta peraltro perfettamente allineata a quella dell’Agenzia delle Entrate. Con la Risoluzione 20 agosto 2009 n. 232/E, infatti, è stato precisato che “fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’articolo 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.
Tali crediti, infatti, dovranno essere regolarmente assoggettati ad IVA, atteso che al momento della loro riscossione risulteranno essere soddisfatti i requisiti richiesti ai fini dell’imponibilità, di cui all’articolo 1 del D.P.R. n. 633/1972.
Tuttavia, qualora “l’istante volesse comunque chiudere la propria partita IVA, senza attendere l’esito del procedimento pendente, dovrà procedere al previo versamento dell’imposta indicata in fattura” (cfr. Risoluzione 20 agosto 2009 n. 232/E).
In definitiva, quindi, il professionista in procinto di cessare un’attività con eventuali compensi ancora da incassare può scegliere alternativamente se:
- mantenere la partita IVA sino al completo incasso di tutti i compensi, con i correlati adempimenti;
- assolvere integralmente l’imposta sulle operazioni che saranno incassate in futuro.
La seconda soluzione implica l’anticipazione del tributo su tutte le operazioni in essere, con il rischio di non incassare l’imposta addebitata, per la quale il professionista necessariamente risulterà il soggetto inciso. Tuttavia, si tratta dell’unica soluzione percorribile laddove si voglia evitare di rimanere legati alla partita IVA sino al completo incasso di tutti i compensi, con i correlati adempimenti.
Riferimenti normativi:
Chiusura della partita IVA e parcelle non incassate: cosa fare?
di Marco Bomben | 15 Marzo 2018
Accade spesso che il professionista in procinto di cessare l’attività abbia ancora dei crediti da incassare. In questo caso i dubbi possono riguardare la possibilità o meno di chiudere la partita IVA prima del relativo incasso ovvero il corretto trattamento ai fini IVA e delle imposte dirette riservato alle prestazioni di servizi rese ma non ancora fatturate e incassate.
Chiusura Partita Iva: i chiarimenti delle Entrate
È noto che il trattamento fiscale da riservare ai ricavi e ai compensi fatturati e non ancora riscossi, così come ai costi e agli oneri che non hanno ancora ricevuto il proprio regolamento finanziario, rappresenta una delle problematiche che si verificano all’uscita dell’attività economica.
In relazione alla rilevanza fiscale della cessione del pacchetto clienti in cui il pagamento avveniva in forma rateale, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale” (Agenzia delle Entrate Circolare 16 febbraio 2007 n. 11/E).
In altri termini, secondo il Fisco, la cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali.
Il lavoratore autonomo dovrebbe, quindi, conservare la partita IVA fino all’incasso della sua ultima prestazione professionale ed emettere relativa fattura.
La posizione interpretativa è stata ribadita dalla successiva Circolare 30 maggio 2012 n. 17/E, la quale precisa che le medesime condizioni si applicano, in linea generale, anche ai contribuenti che fruiscono del regime dei minimi (ex articolo 27, commi 1 e 2, D.L. 98/2011) “a prescindere dal tipo di attività (professionale o d’impresa) esercitata, poiché anche loro determinano il reddito, al pari di quello professionale, secondo il criterio di cassa”.
In alternativa, il medesimo documento di prassi prevede che “in un’ottica di semplificazione che tiene conto delle dimensioni dell’impresa e, in particolare, dall’esiguità delle operazioni economiche che ne caratterizzano l’attività, si ritiene che è rimessa alla scelta del contribuente la possibilità di determinare il reddito relativo all’ultimo anno di attività tenendo conto anche delle operazioni che non hanno avuto in quell’anno manifestazione finanziaria”.
Ne consegue che i contribuenti in regime forfettario,così come i minimi, in prossimità della cessazione della propria attività potranno scegliere di regolarizzare in anticipo le proprie pendenze fiscali, imputando all’ultimo anno anche le operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria.
In mancanza di ciò, tali soggetti non possono considerare realmente cessata la propria attività fino all'esaurimento di tutte le operazioni dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti e devono:
Chiusura Partita Iva e parcelle non incassate: profili Iva
In ambito IVA, l’analisi circa il corretto trattamento dei compensi conseguiti dopo la cessazione dell’attività non può che partire dalla posizione interpretativa fatta propria dalle Sezioni Unite della Cassazione nella Sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016, secondo cui “i compensi di prestazioni da attività imprenditoriale o professionale, conseguiti dopo la cessazione dell'attività medesima, devono ritenersi assoggettati ad IVA, risultandone lo "statuto" impositivo definito dalla contestuale ricorrenza, all'atto del manifestarsi del fatto generatore dell'imposta (e suo presupposto oggettivo) anche del relativo presupposto soggettivo”.
Tale soluzione interpretativa parte dal principio per cui il codice dell’IVA nazionale deve essere in linea con la normativa comunitaira, che distingue tre momenti per l’imposta:
Come osservato dalle SS. UU., siala Sesta Direttiva IVA (n. 77/388/CEE, articolo 10, commi 1 e 2) sia l'attuale Direttiva IVA (n. 2006/112/CE, articoli 62, 63 e 66) evidenziano che il fatto generatore dell'imposta sussiste al momento in cui viene effettua la cessione/prestazione. Questo deve essere considerato il momento in cui si determina di regola l’esigibilità dell’imposta e non invece il momento in cui si percepisce il corrispettivo.
Pertanto, il professionista che, dopo la cessazione dell’attività, dovesse incassare un compenso relativo alla propria attività professionale in precedenza svolta, deve assoggettare ad IVA tale corrispettivo.
L’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione risulta peraltro perfettamente allineata a quella dell’Agenzia delle Entrate. Conla Risoluzione 20 agosto 2009 n. 232/E , infatti, è stato precisato che “fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all’articolo 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l’attività professionale non può ritenersi cessata”.
Tali crediti, infatti, dovranno essere regolarmente assoggettati ad IVA, atteso che al momento della loro riscossione risulteranno essere soddisfatti i requisiti richiesti ai fini dell’imponibilità, di cui all’articolo 1 del D.P.R. n. 633/1972.
Tuttavia, qualora “l’istante volesse comunque chiudere la propria partita IVA, senza attendere l’esito del procedimento pendente, dovrà procedere al previo versamento dell’imposta indicata in fattura” (cfr. Risoluzione 20 agosto 2009 n. 232/E).
In definitiva, quindi, il professionista in procinto di cessare un’attività con eventuali compensi ancora da incassare può scegliere alternativamente se:
La seconda soluzione implica l’anticipazione del tributo su tutte le operazioni in essere, con il rischio di non incassare l’imposta addebitata, per la quale il professionista necessariamente risulterà il soggetto inciso. Tuttavia, si tratta dell’unica soluzione percorribile laddove si voglia evitare di rimanere legati alla partita IVA sino al completo incasso di tutti i compensi, con i correlati adempimenti.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Partita IVA
Cosa rappresenta una delle problematiche che si verificano all’uscita dell’attività economica?
Il trattamento fiscale da riservare ai ricavi e ai compensi fatturati e non ancora riscossi, così come ai costi e agli oneri che non hanno ancora ricevuto il proprio regolamento finanziario.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, quando si considera cessata l’attività per il professionista?
La cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali.
Fino a quando dovrebbe conservare la partita IVA il lavoratore autonomo?
Il lavoratore autonomo dovrebbe conservare la partita IVA fino all’incasso della sua ultima prestazione professionale ed emettere relativa fattura.
Cosa precisa la Circolare 4 aprile 2016 n. 10/E riguardo ai soggetti in regime forfettario?
La Circolare precisa che i contribuenti in regime forfettario, così come i minimi, in prossimità della cessazione della propria attività potranno scegliere di regolarizzare in anticipo le proprie pendenze fiscali, imputando all’ultimo anno anche le operazioni che non hanno avuto ancora manifestazione finanziaria.
Secondo la Corte di Cassazione, quando devono essere assoggettati ad IVA i compensi conseguiti dopo la cessazione dell’attività?
I compensi di prestazioni da attività imprenditoriale o professionale, conseguiti dopo la cessazione dell'attività medesima, devono ritenersi assoggettati ad IVA, risultandone lo 'statuto' impositivo definito dalla contestuale ricorrenza, all'atto del manifestarsi del fatto generatore dell'imposta.