I coniugi in comunione dei beni
Una delle osservazioni che è capitato di incontrare ad opera di notai è stata quella secondo la quale, essendo il socio in comunione con il proprio coniuge, l’assegnazione non può essere agevolata perché il coniuge non è socio (e non lo era al 30 settembre 2022).
Senonché è del tutto evidente che per quanto l’immobile a seguito dell’assegnazione pervenga nella proprietà pro-indiviso anche del coniuge non socio, ciò non inficia l’agevolazione posto che l’atto di assegnazione è riferibile solo al socio nonostante gli effetti patrimoniali coinvolgano poi anche il coniuge.
Tanto premesso, la disciplina del regime patrimoniale tra coniugi è contenuta nell’art. 177, comma 1, lett. a) e d), del Codice civile, il quale prevede che costituiscono oggetto della comunione “gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali”, nonché “le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”.
In ambito assegnazione agevolata l’approccio metodologico passa attraverso la ricognizione del rapporto socio-società.
In assenza di qualsivoglia norma chiarificatrice, una parte della dottrina ritiene necessario operare una distinzione che distingue l’approccio ricognitivo in base al tipo di società:
- società di persone: poiché queste partecipazioni comportano a carico del socio una responsabilità illimitata (salvo la partecipazione di un socio accomandante in una s.a.s.) queste quote non ricadono nella comunione immediata, restando assoggettati a quella de residuo. Si tratta di società in cui l’intuitus personae risulta incompatibile con la comunione legale, perché se le quote cadessero in comunione si consentirebbe l’accesso di estranei in società;
- società di capitali: dal momento che non vi è responsabilità personale del socio e dunque non vi è pericolo per il coniuge, ricadono nella comunione immediata gli acquisti di azioni o di quote di società di capitali (ad eccezione del socio accomandatario delle società in accomandita per azioni). Tali conclusioni sono pacifiche per le società per azioni, mentre meno univoche sono per le società a responsabilità limitata: solo laddove la partecipazione alla società sia lo strumento mediante il quale il socio svolge la propria attività le quote non ricadrebbero nella comunione.
Ad ogni modo, l’ultima parola circa la necessaria presenza o meno del coniuge, resta al notaio che predispone l’atto di trasferimento di proprietà dell’immobile.
I vizi dell’immobile oggetto di assegnazione
Altra questione, certamente rara, è che giunti al termine dell’elaborato percorso consulenziale da parte del commercialista, che si è occupato di tutti gli aspetti contabili, fiscali, societari, per procedere all’assegnazione agevolata, ci si renda conto, al momento della stipula, a seguito di particolareggiate visure catastali, che l’immobile presenta limiti al suo trasferimento (patti territoriali, terreni in concessione con vincoli temporali, difformità edilizie rispetto al permesso a costruire e alle autorizzazioni).
È oltremodo frustrante dover abbandonare l’atto dopo tanto lavoro, il che suggerisce di chiarire sin da subito che tali aspetti devono essere preliminarmente verificati dalla società (o da chi per lei) e che nel conferimento dell’incarico la possibilità di procedere all’assegnazione (ma anche alla cessione agevolata) devono essere dati per acquisiti.
L’assegnazione in assenza di causa
Tra le incredibili motivazioni che è capitato di vedere quale causa ostativa alla stipula da parte del notaio è che l’assegnazione non può avvenire “in assenza di causa” posto che “l’assegnazione deve essere giustificata o con la liquidazione della società, o con la liquidazione della quota al socio receduto o escluso”.
Senonché, la circolare Agenzia delle Entrate del 21 maggio 1999, n. 112, al paragrafo “Nozione di assegnazione”, chiarisce (l’ovvio) concetto di assegnazione che trae il suo fondamento giuridico nel rapporto societario. “L’assegnazione viene a configurarsi ogni qual volta la società procede, nei confronti dei soci, alla restituzione di capitale o di riserve di capitale ovvero alla distribuzione di utili o di riserve di utili. Al riguardo si precisa che la disciplina di cui trattasi è applicabile in tutte le fattispecie regolate dalle norme del Codice civile nonché da quelle contenute nel TUIR e quindi anche nei casi di recesso, riduzione del capitale esuberante o di liquidazione previsti dall’art. 44, comma 3, del predetto TUIR.”.
Le società in contabilità semplificata
L’assegnazione agevolata delle società in contabilità in semplificata è pacifico che possa avvenire nonostante la mancata evidenza del suo patrimonio.
Ciò è stato chiarito più volte:
- dall’Agenzia delle Entrate (circolare n. 93/2016 e Risoluzione n. 100/2017): la medesima tassazione in capo al socio potrebbe verificarsi, peraltro, anche nel caso in cui l’assegnazione sia effettuata da società in contabilità semplificata, non essendo prevista una specifica deroga in tal senso dalle norme del TUIR;
- dal Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 43/2023 del 3 maggio 2023): una società in contabilità semplificata potrà procedere con una assegnazione di beni immobili ai propri soci pur non risultando contabilizzate riserve o accantonati utili.
Dispiace dover constatare che taluni notai si sono rifiutati di stipulare nel convincimento che in questi casi l’assegnazione non può essere effettuata non potendo indicare quali riserve si utilizzano al riguardo.
Il patrimonio netto non capiente
Tra le prime cose da verificare, funzionali all’assegnazione agevolata, vi è quella della consistenza del patrimonio netto (per le società di capitali e le società di persone in contabilità ordinaria).
Talvolta ci si rende conto che il valore contabile netto dell’immobile (costo di iscrizione meno fondo ammortamento) supera l’ammontare complessivo delle riserve disponibili.
Sottolineo il “disponibili” posto che talune riserve per quanto presenti non sono utilizzabili, quali ad esempio la riserva utili su cambi, la riserva da equity method, la riserva legale.
In questi casi la strada è duplice: o versamenti a fondo perduto da parte dei soci per garantire la necessaria consistenza del patrimonio netto (si fa presente che i conferimenti possono anche essere “targati” e quindi la restituzione va fatta solo al socio conferente) o in alternativa accollo di debiti societari unitamente all’assegnazione dell’immobile.
Oppure cambiare radicalmente strada e valutare l’ipotesi della cessione agevolata che non ha impatti con il patrimonio netto o la trasformazione agevolata in società semplice, se l’oggetto sociale e l’attività svolta è effettivamente di mera locazione immobiliare.
Ma in quest’ultimo caso occorre prestare attenzione alle riserve di utili (comprese quelle in sospensione d’imposta) perché la trasformazione non assegna chirurgicamente quell’immobile bensì travolge tutto il patrimonio della società, con la conseguenza che (nelle società di capitali) tutte le riserve di utili soggiacciono a tassazione, seppure con le agevolazioni previste dalla normativa in rassegna.
La scelta delle riserve da utilizzate
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che compete ai soci scegliere quali riserve del patrimonio netto disponibili utilizzare per contabilizzare la fuoriuscita dell’immobile, con l’unico vincolo che in presenza di riserve di utili non affrancate (tipica la riserva da rivalutazione non affrancata) queste vanno utilizzate per ultime.
È comprensibile la limitazione posta dall’Agenzia delle Entrate in considerazione del favorevole trattamento di dette riserve che scontano in sede di assegnazione l’imposta sostitutiva del 13% con ciò esaurendo qualunque effetto nei confronti non solo della società ma anche dei soci.
Il valore contabile della riserva da stornare
Il punto di partenza per l’analisi degli aspetti contabili dell’assegnazione è la delibera assembleare che stabilisce di distribuire riserve o ridurre il capitale sociale con assegnazione ai soci.
È bene sin d’ora far presente che la scelta del criterio di individuazione della base imponibile della imposta sostitutiva dell’8% (valore catastale, valore normale o valore intermedio) è del tutto autonoma e svincolata rispetto alla scrittura contabile riferita alla fuoriuscita dell’immobile dalla società.
Senonché taluni notai hanno ritenuto che in caso di utilizzo del valore di mercato per il calcolo della sostitutiva occorre assorbire riserve pari al valore di mercato.
Tale presa di posizione non è condivisibile in primis alla luce del Documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti “L’assegnazione dei beni ai soci: trattamento contabile e profili operativi” del marzo 2016 che si è preoccupato di fornire indicazioni in mancanza di un principio OIC sul punto; la scelta di assegnare ad un valore pari, uguale o superiore a quello contabile è una prerogativa dei soci.
Sulla questione si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 8 del 7 aprile 2017, par. 5.2, “Assegnazione agevolata di beni al valore di libro” laddove ha risposto ad uno specifico quesito che si riporta per intero.
Domanda
Poniamo il caso di un bene iscritto in contabilità a 100, con valore catastale di 120 e valore normale di 200.
Si chiede di confermare che sarà possibile effettuare l’assegnazione agevolata di tale bene quando le riserve presenti nell’ultimo bilancio sono pari a 100.
In sostanza si ritiene che non debbano esserci riserve pari al valore normale del bene (200 nell’esempio) qualora si decida di utilizzare il valore di libro, ai fini contabili, in sede di assegnazione.
Risposta
Si ribadisce che è possibile fruire della disciplina agevolativa in esame solo se vi siano riserve disponibili di utili e/o di capitale almeno pari al valore contabile “attribuito” al bene in sede di assegnazione.
Si ricorda, inoltre, che il comportamento contabile adottato dall’impresa deve essere coerente con i Principi contabili di riferimento (cfr. circolare n. 37/E/2016).
La domanda è chiara come altrettanto chiara è la risposta: il valore da utilizzare lo decide l’assemblea (su proposta dell’amministratore) e non è vincolato al criterio adottato per il calcolo della sostitutiva.
Merita di essere sottolineato che la locuzione “almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazione” non significa pari al valore del bene iscritto in contabilità, ma il valore a cui la società ha deciso di attribuire al bene in occasione della delibera assembleare di distribuzione delle riserve.
Il vero problema è che mentre nelle assegnazioni pro-indiviso, che rispettano sempre e comunque la par condicio, l’assegnazione avviene normalmente al valore contabile, in caso di assegnazioni di immobili diversi a soci diversi se non ci si posiziona contabilmente sul valore di mercato di ognuno degli immobili è impossibile garantire la par condicio, perché, come prima detto, l’avvio dell’assegnazione avviene sulla base di una delibera di distribuzione delle riserve il cui importo deve garantire l’assegnazione in base ai valori di mercato che non coincidono con quelli contabili.
L’autofattura: esente o imponibile
In Risposta alla Interrogazione parlamentare n. 5-01057 del 5 luglio 2023 il sottosegretario del MEF ha chiarito che l’assegnazione di immobili acquistati in esenzione IVA è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA al momento dell’assegnazione: si tratta, infatti, di una ipotesi riconducibile a quella dei beni acquistati senza il diritto alla detrazione, neppure parziale, della relativa imposta.
La risposta chiude il cerchio sulla questione andando oltre al disposto letterale della norma.
Infatti, l’art. 2, comma 2, n. 5, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che l’autoconsumo dei beni (che si verifica al momento della assegnazione per assimilazione operata dall’Agenzia delle Entrate all’estromissione dell’immobile dell’imprenditore individuata), prevede l’esclusione dall’IVA per quei beni per i quali non è stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta.
In un primo momento l’Agenzia delle Entrate con circolare del 21 maggio 1999, n. 112 aveva circoscritto l’operazione fuori campo IVA al solo caso letterale previsto dal citato art. 2, comma 2, n. 5.
Successivamente con le circolari n. 26 del 1° giugno 2016 e n. 37 del 16 settembre 2016, l’Agenzia ha esteso il principio anche alle assegnazioni di beni per i quali la detrazione dell’IVA non è avvenuta in ragione del loro acquisto presso un soggetto privato, ovvero poiché l’acquisto è avvenuto prima dell’introduzione del tributo nell’ordinamento interno.
Con la Risposta all’Interrogazione il fuori campo è stato ulteriormente esteso all’immobile pervenuto con fattura esente da IVA.
Conclusioni
I problemi esposti sono solo alcuni tra quelli che possono presentarsi in caso di assegnazione degli immobili ai soci.
Questi devono essere intercettati dal professionista in sede di prima valutazione insieme alla stima del costo dell’operazione in termini di imposte sostitutive, IVA e imposte d’atto che, ovviamente, i soci chiedono di conoscere prima di dare avvio all’operazione.
I calcoli delle imposte sono tutt’altro che intuitivi, soprattutto in caso di utilizzo sia di riserve di utili sia di riserve di capitali.
La proroga al 30 novembre costituisce un’ottima opportunità per valutare, documenti aziendali alla mano, l'utilità di cogliere l’agevolazione.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, art. 177;
- Legge 29 dicembre 2022 n. 197, art. 1, comma 100;
- D.L. 29 settembre 2023, n. 132, art. 4;
- Ministero delle Finanze, circolare 21 maggio 1999, n. 112/E;
- Agenzia delle Entrate, Ris. 27 luglio 2017, n. 100/E;
- Agenzia delle Entrate, circolare 7 aprile 2017, n. 8/E;
- Agenzia delle Entrate, Ris. 17 ottobre 2016, n. 93/E;
- Agenzia delle Entrate, circolare 16 settembre 2016, n. 37/E;
- Agenzia delle Entrate, circolare 1° giugno 2016, n. 26/E;
- Risposta alla Interrogazione parlamentare 5 luglio 2023, n. 5-01057.
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