Premessa
La Direzione Regionale della Lombardia, con l’Interpello n. 956-39/2018, precisa quanto in precedenza espresso con la Risoluzione 2 settembre 2016 n. 72/E in materia di bitcoin e criptovalute (vedi anche il Commento "La tassazione dei redditi prodotti in bitcoin").
Tale necessità era da rinvenirsi nel chiarimento necessario di un passaggio infelice che poteva lasciar intendere che, in capo alle persone fisiche non esercenti attività di impresa, vi fosse una sorta di non imponibilità soggettiva, pur avendo previsto nello stesso documento per le imprese la stessa normativa fiscale applicabile per le valute estere.
L’interpello, restando nel solco tracciato dalla precedente Risoluzione n. 72/E, quindi nella piena assimilazione delle valute virtuali alla valute estere, affronta il tema dell’imponibilità reddituale in capo alle persone fisiche non esercenti attività di impresa.
A tal fine si fa espresso richiamo all’applicazione dell’art. 67, comma 1, lettera c-ter) e del comma 1-ter del TUIR, al fine di applicare la vigente normativa fiscale, senza alcuna differenza dalle valute, diverse dall’euro, emesse da una Autorità monetaria.
Per cui assumono rilevanza reddituale tutte le cessioni a pronti (rectius tutti i prelievi da depositi, wallet di qualsiasi tipologia) sottoposte alla condizione prevista dal comma 1-ter, ovvero che la consistenza media del totale dei depositi in valute virtuali e in valute estere abbia superato per 7 giorni continuativi nell’anno di osservazione il controvalore di euro 51.645,69, calcolato al cambio di riferimento di inizio periodo (1° gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto della tassazione).
Nel medesimo Interpello si evidenzia che qualsiasi prelievo assume rilevanza, sia che lo stesso sia eseguito al fine della cessione a pronti ottenendo in pagamento euro o altra valuta virtuale (non si parla di altre valute aventi corso legale ma sicuramente si applicherà la stessa previsione), sia l’utilizzo della valuta virtuale quale mezzo di pagamento per il sostenimento di un acquisto.
Ulteriore importanza viene data alla necessità di monitoraggio fiscale delle consistenze detenute in valute virtuali, derivando tale necessità dalle modifiche apportate al D.L. 167 del 28 giugno 1990 per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 90/2017.
Compilazione modello Redditi PF
Come è noto, l’Interpello in commento cita la Circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013, che chiarisce l’ambito di applicazione dell’art. 4 del citato D.L. n. 167/1990, estendendo l’obbligo di compilazione del quadro RW del modello Redditi PF anche alle attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari finanziari. Tale previsione, a detta dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe applicabile anche per la fattispecie in esame data la mancanza di territorialità implicita nella tecnologia della blockchain (protocollo nel quale risiedono le scritture contabili che dimostrano la capacità di poter spendere valute virtuali per il soggetto in possesso di chiave pubblica e privata, basato sul peer to peer e quindi presente in copie identiche ovunque venga scaricato).
Viene espressamente indicato di compilare il quadro RW indicando il valore corrispondente al 31 dicembre e alla colonna 3 il codice 14, non assoggettando tale controvalore ad IVAFE. Nulla si dice sul paese estero da indicare e, difficilmente, si può pensare di indicarne uno a caso.
Va sottolineato che il documento in esame dimostra un grado di approfondimento della complessa tecnologia sottostante al mondo delle valute virtuali e della blockchain, di sicuro, maggiormente consapevole rispetto al primo documento del settembre 2016.
I chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate
Leggiamo i passaggi importanti e dirimenti che definiscono cosa sia un wallet, portafoglio elettronico in cui oggetto dell’archiviazione non è materialmente il bitcoin (o altra valuta virtuale) ma, bensì, la coppia di chiavi crittografiche che permettono la transazione delle disponibilità di valuta ascritte alla chiave pubblica nella blockchain, operandone una classificazione tra le varie tipologie (paper, hardware, desktop, mobile, web, hot e cold) e il fondamentale distinguo tra custodial wallet e non custodial wallet, a seconda del possesso della chiave privata o meno in capo allo user.
Questo approccio, seppur degno di encomio, non risolve un insieme di criticità provenienti da una assimilazione giuridica delle valute virtuali alla fattispecie delle valute estere difficilmente sostenibile giuridicamente e di complessa applicazione nel concreto.
Con un tempismo disarmante, dopo l’intervento della BCE e della CGEU, il 19 aprile 2018 il Parlamento europeo in seduta plenaria approva la Risoluzione legislativa indicata come V direttiva antiriclaggio.
Come già avvenuto nel nostro paese ad opera del D.Lgs. n. 90/2017, viene data una definizione di valute virtuali quale “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Tale impostazione è molto simile a quella introdotta nel D.Lgs. n. 231/2007 a luglio del 2017 ma, seppur muovendosi in un solco analogo a quanto avvenuto nel nostro paese con l’introduzione nel sistema normativo delle valute virtuali, opera un fondamentale distinguo tra le valute virtuali e quanto è oggi riconosciuto e definito come valuta e moneta.
Esplicitamente viene detto che non possiede lo status giuridico di valuta o moneta. In tal senso va anche letta la Sentenza CGEU C-264/14 in cui il bitcoin viene definito quale mezzo di pagamento contrattuale, ovvero la cui accettazione avviene unicamente su base volontaria, escludendolo così esplicitamente da quella naturale capacità liberatoria intrinseca riconosciuta alla moneta (cfr. art. 1277 c.c.).
Inoltre, come viene riconosciuto nell’Interpello, gli user di valute virtuali sono stati fortemente attratti dall’alta volatilità del mercato dei cambi che con intento speculativo hanno operato su piattaforme di trading scambiando valute virtuali contro altre valute virtuali e/o valute fiat. Tale attività, al fine di essere redditizia, richiede una gran quantità di operazioni.
Considerando rilevante ai fini reddituali quale prelievo da deposito ogni operazione svolta - seppur permangono forti dubbi in dottrina che i wallet siano depositi, per chi, decidendo di aderire alle previsioni dell’Agenzia delle Entrate, si trovasse nella condizione di dover ricostruire l'universalità delle operazioni degli anni passati - si presenterebbe una sfida contabile che non potrebbe essere affrontata se non con complessi software che utilizzassero i tracciati propri degli exchange.
Tale previsione, assai spinosa per gli user, e per chi vi aderirà anche conscio del valore giuridico pressoché nullo di un Interpello ex art. 11 L. n. 212/2000, se applicata a casi concreti è potenzialmente in grado di generare effetti distorti (se non aberranti) in capo ai contribuenti. L’anno appena trascorso, infatti, ha visto un mercato delle valute virtuali moltiplicare il proprio valore per numerose volte.
Ipotizzando un detentore di un unico portafoglio in ether (sigla ETH, seconda valuta virtuale per diffusione) che, fin da inizio periodo e senza fare alcun trade, avesse contenuto 5000 eth ceduti poi verso fine dicembre al prezzo unitario di circa 700 euro, realizzerebbe un’operazione di cessione a pronti pari a 3,5 milioni di euro. La cui plusvalenza, realizzata rispetto al costo di acquisto con il metodo LIFO, sarebbe fiscalmente non imponibile in quanto, ai sensi del comma 1-ter, art. 67 del TUIR, la valutazione al cambio di inizio periodo (circa 7 euro cad.) sarebbe inferiore alla soglia di euro 51.645,69.
Di contro, estendendo le applicazioni di tale interpretazione, un detentore di un unico portafoglio pari a 5 btc (valore di poco superiore ad euro 800 cad ad inizio periodo) che, nell’intorno dei massimi (19/12/2017 valore di circa euro 16.500 cad.) li avesse ceduti in cambio non di valuta fiat ma di tether (criptovaluta che si prefigge di tenere il controvalore legato al valore unitario del dollaro, 1USDT=1$) incassandone 97.350 USDT (pari a circa euro 82.500), avrebbe realizzato un’operazione la cui plusvalenza avrebbe piena imponibilità. Il primo soggetto, milionario, nulla dovrebbe al fisco nostrano al contrario del secondo che, senza aver disponibilità di euro, si troverebbe a dover pagare un consistente saldo di imposta, in palese violazione del principio di parità di trattamento e di capacità contributiva.
Riferimenti normativi:
Equiparare le valute virtuali alle valute estere: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
di Paolo Luigi Burlone COINLEX.IT | 2 Maggio 2018
Con l’Interpello 956-39/2018, Direzione Regionale della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate è tornata ad esprimersi in materia di bitcoin e criptovalute. Il documento di prassi era atteso dopo la pubblicazione della Risoluzione n. 72/E, del 2 settembre 2016, poiché in tale circostanza le previsioni in essa contenute avevano ingenerato tante incertezze e perplessità.
Premessa
La Direzione Regionale della Lombardia, con l’Interpello n. 956-39/2018, precisa quanto in precedenza espresso con la Risoluzione 2 settembre 2016 n. 72/E in materia di bitcoin e criptovalute (vedi anche il Commento "La tassazione dei redditi prodotti in bitcoin").
Tale necessità era da rinvenirsi nel chiarimento necessario di un passaggio infelice che poteva lasciar intendere che, in capo alle persone fisiche non esercenti attività di impresa, vi fosse una sorta di non imponibilità soggettiva, pur avendo previsto nello stesso documento per le imprese la stessa normativa fiscale applicabile per le valute estere.
L’interpello, restando nel solco tracciato dalla precedente Risoluzione n. 72/E, quindi nella piena assimilazione delle valute virtuali alla valute estere, affronta il tema dell’imponibilità reddituale in capo alle persone fisiche non esercenti attività di impresa.
A tal fine si fa espresso richiamo all’applicazione dell’art. 67, comma 1, lettera c-ter) e del comma 1-ter del TUIR, al fine di applicare la vigente normativa fiscale, senza alcuna differenza dalle valute, diverse dall’euro, emesse da una Autorità monetaria.
Per cui assumono rilevanza reddituale tutte le cessioni a pronti (rectius tutti i prelievi da depositi, wallet di qualsiasi tipologia) sottoposte alla condizione prevista dal comma 1-ter, ovvero che la consistenza media del totale dei depositi in valute virtuali e in valute estere abbia superato per 7 giorni continuativi nell’anno di osservazione il controvalore di euro 51.645,69, calcolato al cambio di riferimento di inizio periodo (1° gennaio dell’anno in cui si verifica il presupposto della tassazione).
Nel medesimo Interpello si evidenzia che qualsiasi prelievo assume rilevanza, sia che lo stesso sia eseguito al fine della cessione a pronti ottenendo in pagamento euro o altra valuta virtuale (non si parla di altre valute aventi corso legale ma sicuramente si applicherà la stessa previsione), sia l’utilizzo della valuta virtuale quale mezzo di pagamento per il sostenimento di un acquisto.
Ulteriore importanza viene data alla necessità di monitoraggio fiscale delle consistenze detenute in valute virtuali, derivando tale necessità dalle modifiche apportate al D.L. 167 del 28 giugno 1990 per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 90/2017.
Compilazione modello Redditi PF
Come è noto, l’Interpello in commento cita la Circolare n. 38/E del 23 dicembre 2013, che chiarisce l’ambito di applicazione dell’art. 4 del citato D.L. n. 167/1990, estendendo l’obbligo di compilazione del quadro RW del modello Redditi PF anche alle attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari finanziari. Tale previsione, a detta dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe applicabile anche per la fattispecie in esame data la mancanza di territorialità implicita nella tecnologia della blockchain (protocollo nel quale risiedono le scritture contabili che dimostrano la capacità di poter spendere valute virtuali per il soggetto in possesso di chiave pubblica e privata, basato sul peer to peer e quindi presente in copie identiche ovunque venga scaricato).
Viene espressamente indicato di compilare il quadro RW indicando il valore corrispondente al 31 dicembre e alla colonna 3 il codice 14, non assoggettando tale controvalore ad IVAFE. Nulla si dice sul paese estero da indicare e, difficilmente, si può pensare di indicarne uno a caso.
Va sottolineato che il documento in esame dimostra un grado di approfondimento della complessa tecnologia sottostante al mondo delle valute virtuali e della blockchain, di sicuro, maggiormente consapevole rispetto al primo documento del settembre 2016.
I chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate
Leggiamo i passaggi importanti e dirimenti che definiscono cosa sia un wallet, portafoglio elettronico in cui oggetto dell’archiviazione non è materialmente il bitcoin (o altra valuta virtuale) ma, bensì, la coppia di chiavi crittografiche che permettono la transazione delle disponibilità di valuta ascritte alla chiave pubblica nella blockchain, operandone una classificazione tra le varie tipologie (paper, hardware, desktop, mobile, web, hot e cold) e il fondamentale distinguo tra custodial wallet e non custodial wallet, a seconda del possesso della chiave privata o meno in capo allo user.
Questo approccio, seppur degno di encomio, non risolve un insieme di criticità provenienti da una assimilazione giuridica delle valute virtuali alla fattispecie delle valute estere difficilmente sostenibile giuridicamente e di complessa applicazione nel concreto.
Con un tempismo disarmante, dopo l’intervento della BCE e della CGEU, il 19 aprile 2018 il Parlamento europeo in seduta plenaria approva la Risoluzione legislativa indicata come V direttiva antiriclaggio.
Come già avvenuto nel nostro paese ad opera del D.Lgs. n. 90/2017, viene data una definizione di valute virtuali quale “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.
Tale impostazione è molto simile a quella introdotta nel D.Lgs. n. 231/2007 a luglio del 2017 ma, seppur muovendosi in un solco analogo a quanto avvenuto nel nostro paese con l’introduzione nel sistema normativo delle valute virtuali, opera un fondamentale distinguo tra le valute virtuali e quanto è oggi riconosciuto e definito come valuta e moneta.
Esplicitamente viene detto che non possiede lo status giuridico di valuta o moneta. In tal senso va anche letta la Sentenza CGEU C-264/14 in cui il bitcoin viene definito quale mezzo di pagamento contrattuale, ovvero la cui accettazione avviene unicamente su base volontaria, escludendolo così esplicitamente da quella naturale capacità liberatoria intrinseca riconosciuta alla moneta (cfr. art. 1277 c.c.).
Inoltre, come viene riconosciuto nell’Interpello, gli user di valute virtuali sono stati fortemente attratti dall’alta volatilità del mercato dei cambi che con intento speculativo hanno operato su piattaforme di trading scambiando valute virtuali contro altre valute virtuali e/o valute fiat. Tale attività, al fine di essere redditizia, richiede una gran quantità di operazioni.
Considerando rilevante ai fini reddituali quale prelievo da deposito ogni operazione svolta - seppur permangono forti dubbi in dottrina che i wallet siano depositi, per chi, decidendo di aderire alle previsioni dell’Agenzia delle Entrate, si trovasse nella condizione di dover ricostruire l'universalità delle operazioni degli anni passati - si presenterebbe una sfida contabile che non potrebbe essere affrontata se non con complessi software che utilizzassero i tracciati propri degli exchange.
Tale previsione, assai spinosa per gli user, e per chi vi aderirà anche conscio del valore giuridico pressoché nullo di un Interpello ex art. 11 L. n. 212/2000, se applicata a casi concreti è potenzialmente in grado di generare effetti distorti (se non aberranti) in capo ai contribuenti. L’anno appena trascorso, infatti, ha visto un mercato delle valute virtuali moltiplicare il proprio valore per numerose volte.
Ipotizzando un detentore di un unico portafoglio in ether (sigla ETH, seconda valuta virtuale per diffusione) che, fin da inizio periodo e senza fare alcun trade, avesse contenuto 5000 eth ceduti poi verso fine dicembre al prezzo unitario di circa 700 euro, realizzerebbe un’operazione di cessione a pronti pari a 3,5 milioni di euro. La cui plusvalenza, realizzata rispetto al costo di acquisto con il metodo LIFO, sarebbe fiscalmente non imponibile in quanto, ai sensi del comma 1-ter, art. 67 del TUIR, la valutazione al cambio di inizio periodo (circa 7 euro cad.) sarebbe inferiore alla soglia di euro 51.645,69.
Di contro, estendendo le applicazioni di tale interpretazione, un detentore di un unico portafoglio pari a 5 btc (valore di poco superiore ad euro 800 cad ad inizio periodo) che, nell’intorno dei massimi (19/12/2017 valore di circa euro 16.500 cad.) li avesse ceduti in cambio non di valuta fiat ma di tether (criptovaluta che si prefigge di tenere il controvalore legato al valore unitario del dollaro, 1USDT=1$) incassandone 97.350 USDT (pari a circa euro 82.500), avrebbe realizzato un’operazione la cui plusvalenza avrebbe piena imponibilità. Il primo soggetto, milionario, nulla dovrebbe al fisco nostrano al contrario del secondo che, senza aver disponibilità di euro, si troverebbe a dover pagare un consistente saldo di imposta, in palese violazione del principio di parità di trattamento e di capacità contributiva.
Riferimenti normativi:
Sullo stesso argomento:Quadro RW